In questo scambio di battute si
può misurare la lontananza ormai esistente tra alcuni dirigenti ex comunisti e una parte della base
ex comunista del PD che oggi non si riconosce più nel partito perché non può e non vuole seguire la strada imboccata dal governo Letta. Due mondi
opposti che non si capiscono, non si sono mai integrati, né potevano
mai farlo, perché uno, quello di Letta e di Fassino, vuole
governare comunque, per "salvare" ancora una volta la società
ingiusta e diseguale che c'è, l'altro invece vuol stare dalla parte di chi
chiede giustizia e uguaglianza, di chi vuole il cambiamento per
cambiare finalmente lo stato di cose esistenti, non perché tutto resti com'è.
Tra questi due mondi diseguali e distanti il dialogo è impossibile e
lo scontro inevitabile.
Questa riflessione mi ha spinto a
riaprire le pagine di "Donnarumma all'assalto" un
bellissimo libro sul lavoro, su questo valore fondante che i padri
della Patria hanno voluto mettere al primo posto della nostra carta
costituzionale, ma che la pratica seguita in 65 anni di vita
repubblicana ha trasformato in un grande bisogno negato, fattore principale
dell'inaccettabile disuguaglianza della società italiana. Volevo
leggerne alcuni brani oggi al Parco Toti, durante il Social and Music
Party rimandato per il maltempo, e ve lo propongo qui.
Il libro scritto dal sociologo e scrittore Ottiero Ottieri nel
1959 è un diario esposto in forma narrativa dall'autore che dal 1955
al 1957 lavorò come consulente alla direzione del personale della
fabbrica di macchine calcolatrici che Adriano Olivetti aprì a
Pozzuoli.
La fabbrica olivettiana che intendeva
realizzare l'ideale sociale del suo proprietario era quella che
riprendeva i modelli avanzati e innovativi della "psicotecnica"
basata su test attitudinali per selezionare i suoi operai e valutarne
l'idoneità ad essere assunti. Ma la pretesa di applicare questi
metodi "moderni" si scontrò immediatamente e inevitabilmente con
una realtà arretrata e disperata come quella meridionale, afflitta
da una cronica disoccupazione di massa, dall'assenza di una
cultura operaia e industriale dove un'umanità dolente, oppressa dal
bisogno primario di lavorare per vivere non poteva certo dialogare
con la psicologia industriale e le sue pretese di scientificità.
Il disoccupato Donnarumma è
l'antagonista naturale del dirigente selezionatore, l'aggressività e
l'irriducibilità dei suoi bisogni si scontrano senza possibilità di
mediazione con i metodi razionali e le regole del funzionario
aziendale. Il divario tra l'enorme offerta di braccia del Mezzogiorno
e la insufficiente domanda dell'impresa è troppo grande e lo stesso
selezionatore capisce che questa insostenibile diseguaglianza rende
il suo lavoro di selezione immorale.
Lo scontro fa esplodere la contraddizione. Donnarumma è un disoccupato (aveva lavorato al cantiere della fabbrica) che non vuole nemmeno fare la domanda di lavoro, va direttamente all'assalto della scrivania del selezionatore, lo assedia, pretende di essere assunto perché lui, afferma: "Io debbo lavorare, io voglio faticare, io non debbo fare nessuna domanda. Qui si viene per faticare non per scrivere". Intuisce animalescamente che la domanda di assunzione è una trappola discriminatoria e la rifiuta. Egli è estraneo e nemico del sistema che regola le assunzioni e il funzionamento stesso della fabbrica. Il suo entrare in scena è minaccioso e turba subito l'esaminatore. "Scrivevo ancora gli appunti sul precedente e Donnarumma era già con lo stomaco contro il tavolo. Aveva il petto quadrato in un maglione, i capelli grigi a spazzola, gli occhi duri; non guardava niente, nè l'interlocutore né la stanza".
Il disoccupato viene respinto, ma da
quel momento la sua figura domina e ossessiona il funzionario,
diviene il simbolo del dramma che procede e accompagna la selezione
del personale. Donnarumma è il simbolo del disordine del bisogno
umano che si contrappone alla pretesa d'ordine della fabbrica, anche
di quella modernissima, disegnata e progettata da uno dei migliori
architetti d'Europa. Due mondi incomunicabili, altri, perché
rispondono a bisogni diversi e inconciliabili.
Donnarumma non verrà mai assunto e il
suo vano assedio alla fabbrica condotto insieme ad altri respinti
come lui, non gli darà il lavoro. La sua lotta sorda e implacabile
per l'occupazione condotta contro gli impiegati dell'ufficio
personale produrrà denunce e tentativi di mediazione sotto forma di
sussidi offerti dall'azienda che egli respinge chiedendo una
impossibile "indennità fissa di mancata assunzione". Una
sorta di salario di cittadinanza.
Alla fine la pressione dei disoccupati
che circondano ogni giorno la portineria induce la fabbrica a
chiedere la presenza fissa di un Carabiniere, ma questa presenza,
simbolo di sconfitta, non allenterà l'assedio. Dopo un attentato
dinamitardo che porta in galera Donnarumma il selezionatore cede e
lascia l'azienda sconfitto come l'ideale olivettiano di "fabbrica felice" capace di coniugare solidarietà e profitto.
6 commenti:
Nel 1994 Berlusconi ha vinto le elezioni, Bossi ha pensato bene di rispettare il voto degli elettori e il bipolarismo facendolo affondare pochi mesi dopo sicuro dell'appoggio di popolari e PDS.
Si è formato allora un governo inizialmente appoggiato da anime che poi sarebbero diventate il PD, dalla Lega e da Forza Italia, con "tecnici" che se poi si scavava la loro storia sempre tanto tecnici non erano.
Questo tradimento del risultato elettorale invece di tornare alle urne per Donnarumma andava benissimo.
L'unica alleanza di fatto possibile (i 5 stelle hanno detto chiaro e tondo che appoggiano solo un loro governo) in una situazione in cui nessuno ha vinto le elezioni invece è una porcata.
Forse se Donnarumma fosse stato più democratico nel 1994 pretendendo il ritorno al voto contro i giochetti di Bossi e Scalfaro oggi Napolitano e Letta non avrebbero fatto i loro.
Ma si sa, l'idea che le regole del gioco non sono uno strumento per vincere ma uno strumento per avere una competizione realmente democratica è lontana dalla cultura dei Donnarumma di sinistra destra e centro etc etc...
Caro Gianni, ho pubblicato il tuo sproloquio, ma ti chiedo che c'azzecca? Non capisco proprio perché ti ostini a voler strumentalizzare tutto pur di dire la tua. Il libro di Ottieri tu manco l'hai letto e quello che scrivi è privo di qualsiasi aggancio con quello che ho scritto. Boh
è agganciato con quel manifestante che ha detto a Fassino che non doveva fare il governo con Berlusconi.
La risposta di Fassino è stata derisa ma è sensata.
Lui ha cercato di far capire al manifestante che le alternative non è che non sono state cercate ma semplicemente alla prova dei fatti non c'erano.
Difatti la risposta del manifestante è priva di analisi e si limita a un non con Berlusconi.
Questa risposta nasce da lontano, e da errori fatti dal manifestante stesso.
Fa comodo sparare sulla croce rossa di una dirigenza sconfitta. La cosa veramente difficile è che ognuno si prenda la sua fetta di responsabilità. Persino i contestatori di Fassino.
Gianni, non ci capiamo perché leggiamo le cose in modo troppo diverso. Io ho letto l'episodio di Torino come un esempio del dialogo impossibile tra la pseudo razionalità (Fassino-Olivetti) e il bisogno primario (Donnarumma-militante Pci-PD). Quando al bisogno impellente, cioè il cambiamento profondo della nostra società ingiusta e ineguale, viene risposto con la pseudo razionalità del governo Letta-Alfano,si provocano solo inutili conflitti e fallimenti.
Il fallimento di Letta è già scritto nelle cose (IMU, giustizia, lavoro, ecc) e l'inutile conflitto anche (la rottura del PD). La "fabbrica felice" che coniuga profitto e solidarietà sociale non è l'obiettivo di Berlusconi e nemmeno di Confindustria.
"Dopo un attentato dinamitardo che porta in galera Donnarumma il selezionatore cede e lascia l'azienda sconfitto come l'ideale olivettiano di "fabbrica felice" capace di coniugare solidarietà e profitto."Si tratta di due sconfitte.Sconfitte che permettono ad altri di continuare con le stesse modalità e senza accettare critiche. La risposta di Fassino non è sensata. La risposta del Sindaco di Torino è il rigetto della critica sapendo che si doveva e si poteva fare altro per rispettare gli impegni presi con elettori e con la coalizione elettorale. Presentatosi all'elettorato con "mai con Berlusconi" il mancato traguardo del governo doveva portaci alle nuove elezioni. Si è preferito fare l'accordo con il PDL, la conseguenza è la costituzione del governo Letta, regalando a a Berlusconi l'interruttore del comando.Il governo Letta farà piacere a taluni magari perchè vi sono donne,di cui una di nascita italocongolese,svecchiati, tecnici e trombati nominati ministri. A parte i criteri di presentabilità resta il problema più grande a cui non si risponde lasciando che il tempo attenui critiche e giudizi: chi paga la crisi?
di modugno domenico
Finalmente un leader,Che ha Gia' messo in soggezzione
La Merkel e il sign Hollander.
E' stato fatto fuori l'inutile Marini,il 5 Stelle Rodota',Monsignor Prodi,il rapinatore dottor sot tile.
La storia e' stata generosa con noi,cerchiamo di essergliene riconoscenti.
Pierino favrin
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