mercoledì 1 ottobre 2014

PG Mora: lader de fior, lader per amor, el mè destin

Ho sempre guardato con sospetto i poeti che sceglievano per poetare  il dialetto milanese. Che è poi la mia lingua "nonna" nel senso che me l'hanno insegnata nei primi anni di vita la mia nonna Felicita e sua sorella Annetta con le quali passavo la giornata, prima che i miei genitori mi mandassero all'asilo delle severissime Canossiane. Quella lingua ormai scomparsa, uccisa dalla Milano del boom, è per me è una lingua da rispettare, una lingua "sacra", da non giocarci, come purtroppo molti fanno. 
Allora tutti lo parlavano nel quartiere che per me era il tratto di Corso Garibaldi che andava da via Pontaccio a via Moscova e ricadeva sotto la parrocchia di San Simpliciano, la basilica dalla quale partì il Carroccio per la fatal Legnano.
Mi sono rassicurato dopo aver letto l'ultimo libro di Pier Giorgio Mora, "un Ritratto di Signora".L'autore essendo arrivato al dialetto in età avanzata ha scoperto come usare bene il suo potere e le sue poesie mi hanno colpito proprio per l'apporto potente che ha dato il linguaggio al contenuto.
Grazie al suo milanese (molto diverso da quello ad esempio di Giosafatte Rotondi), PG Mora, riesce a parlare d'amore che viene e va, ma sempre governa la vita, a scrivere di morte che arriva seguendo i malanni dell'età. Racconta di sentimenti, di immagini e pensieri, scaturiti dal silenzio di chi osserva senza porsi più obiettivi né scadenze. E dice in conclusione: "hoo fa quel che hoo poduu, ho cercà de mantegnì la fed". La fede nella vita, nell'amore e nell'uomo.
In dialetto Mora ci insegna come fare un fiore, una rosa, creata con la stessa tecnica con la quale realizzava in gioventù i nuovi tessuti per gli stilisti di mezzo mondo. Ed è proprio la mia lingua "nonna" a sostenerlo con leggerezza e forza insospettabile in questa impresa. Sentite un po' ne "La rosa" come comincia a costruirlo il suo fiore:
Ai ses e mezz, tra du padiglion de la Baggina, gh'era un fil rosa. Lho trà denter, l'era bel morbid. Anca un poo profumaa. L'ho metù in sul lett. Ne farò cos'è?
Poi continua tirando dentro la finestra del refettorio un po' di nuvole basse, leggermente rosa, simili a bambagia che unendole al filo ha trasformato in un bocciolo di rosa.
Se ne foo? Trovagh un gamb? Giò in curt ghera un pal de la lus, abbattuu, ma anca un pò verd. Ho tentà una magia. Le vegnù su, el se scurtava quant el vegniva a rent. Gh'avevi un fior complet.
La conclusione è bellissima. O dio, manchen i foeui, li robi d'una pianta in la reception, speri che se ne incorgen no.
Un milanes arius come sono molti dei poeti dialettali milanesi, non avrebbe mai potuto inventarsela.

un Ritratto di Signora
di Pier Giorgio Mora
Edizioni del d'Ito rizzo
142 pagine, luglio 2014

1 commento:

Efrem Maestri ha detto...

Meno mal che gh'è ammò on quejvun che parla e che scriff in milanes!
Bell'articolo Carlo: comprerò sicuramente il libro.