sabato 10 settembre 2011

Nuotare controcorrente

Esercitare il diritto d’opinione e di critica vuol dire spesso nuotare controcorrente opponendosi al (pre) giudizio maggioritario alimentato dai giornali e dai più potenti opinion leader del momento. Insomma è sempre un esercizio difficile, faticoso e pericoloso.
Nella mia esperienza ormai trentennale di giornalista ho fatto molte volte battaglie solitarie contro l’opinione prevalente, evidenziando le contraddizioni, avanzando dubbi o smentendo con i fatti certe affermazioni. Anche quando questo voleva dire criticare le inchieste dei magistrati che godevano dell’appoggio totale dei cittadini.
Nel 1988 l’Enichem di Manfredonia, un insediamento chimico che aveva sempre provocato danni all’ambiente e alle persone che vivevano nelle sue vicinanze a causa di incidenti ed emissioni inquinanti, chiuse l'impianto per la produzione di caprolattame (materia prima del nylon), dopo che i sistemi di smaltimento delle scorie , i cosiddetti fosfogessi scaricati in mare, furono sequestrati dalla magistratura di Otranto perché sospettati di causare la moria di delfini e tartarughe che si verificava nel basso Adriatico. Il tutto richiesto a gran voce dalla cittadinanza con manifestazioni che avevano preso il carattere di sommosse popolari.
Il magistrato inquirente, che in seguito entrò in politica e divenne senatore, aveva giustificato le sue ordinanze di sequestro sulla base delle perizie effettuate da un “consulente tecnico”, il quale affermava, dopo aver fatto le “autopsie” dei delfini spiaggiati che a provocarne la morte erano stati proprio gli scarichi industriali dell’azienda e sulla base di queste affermazioni una vasta platea di ambientalisti famosi e di organismi prestigiosi tra cui il neonato Centro Studi Cetacei e altre istituzioni scientifiche e naturalistiche, chiedeva la chiusura immediata dell’Enichem. Tutta la stampa nazionale ovviamente riportava questa versione senza sollevare alcun dubbio sull’inchiesta.
Io allora lavoravo al Sole-24Ore ed ero un giornalista specializzato in casi ambientali, seguivo per il giornale la vicenda, ma essendo anche un redattore esperto di tecnologia cercavo dei riscontri tecnici alle accuse che apparivano poco solide da questo punto di vista.
Un giorno un corrispondente dalla Puglia mi segnalò una notizia di cronaca uscita sulla Gazzetta del Mezzogiorno: i Carabinieri durante un controllo stradale avevano fermato e denunciato un individuo che nel bagagliaio dell’auto aveva i cadaveri di diversi animali di specie protette. Il personaggio era un noto imbalsamatore della zona, con precedenti penali per traffico di animali protetti ed era, guarda caso, il “consulente” del magistrato che guidava l’inchiesta sui delfini e aveva sequestrato gli impianti dell’Enichem.
Lo scrissi sul mio giornale e venni sotterrato di accuse di connivenza con l’azienda, ricevetti telefonate di fuoco dal presidente del Centro Studi Cetacei, il magistrato di Otranto scrisse al direttore lamentandosi del mio articolo che metteva in dubbio la credibilità della sua inchiesta, i miei stessi colleghi “di sinistra” mi insultavano nei corridoi perché avevo osato mettere in dubbio l’operato della magistratura. Ma nessuno smentì nel merito quello che avevo scritto e cioè che il “consulente tecnico” del magistrato era nei fatti persona poco attendibile.
La polemica a Manfredonia e l'agitazione andò avanti, ma l’Enichem aveva ormai deciso di chiudere l’impianto e dismettere la produzione, anzi prese la palla al balzo per farlo senza provocare reazioni sindacali. La moria di cetacei intanto continuò e dall’Adriatico si spostò nel Tirreno e interessò via via tutto il Mediterraneo, dimostrando così che gli scarichi dell’Enichem non erano responsabili del fenomeno come si affermava. Pochi mesi dopo venne la conferma ufficiale. Analisi autoptiche condotte sui delfini spiaggiati certificarono che la moria era stata causata da un’epidemia di morbillo. I miei dubbi dunque erano fondati, ma anche di fronte a questo fatto, i mei colleghi del Sole non cambiarono idea su di me: per loro non ero un giornalista, ma uno “scribacchino” nemico della giustizia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Arcari,riguardo questo articolo non ne capivo il nesso,poi ho provato a tradurlo in sillogismo.
"Il mio giudizio nel caso Enichem sul consulente dei giudici era fondato,Tizio è consulente dei giudici in questo caso,quindi il mio giudizio su Lui è fondato.
Ma questo sillogismo non può reggere perchè in questa fattispecie il giudizio è un pregiudizio.
Con la solita simpatia,che spero mi sia permessa verso un avversario ideologico,
buona Domenica
pierino favrin

carlo arcari ha detto...

No Favrin, la traduzione del mio sillogismo è sbagliata. Ho voluto raccontare questo episodio della mia vita di giornalista semplicemente per ricordare a me e ai lettori che è sempre doveroso mettere in discussione le accuse quando non sono basate su prove certe. Nel caso Pasini-Penati, in cui la politica è immanente, e in cui finora prove certe non sono state prodotte, il "consulente" dell'accusa deve essere assolutamente superpartes e che quello scelto dalla Procura non lo sia, mi sembra un fatto evidente e non un pregiudizio