"L'ex assessore Pasqualino Di Leva non ha mai preso tangenti e se proprio si vogliono prendere per vere le dichiarazioni di Giuseppe Pasini che sostiene di avergli dato soldi dopo le concessioni edilizie - tra l'altro dicendo di non aver avuto pressioni ma di averlo fatto spontaneamente - allora il reato da contestare non sarebbe corruzione, ma corruzione per un atto d'ufficio già compiuto che non prevede l'arresto, essendo punito con un anno di reclusione". Lo ha sostenuto l'avvocato Giuseppe Vella davanti ai giudici del Tribunale del Riesame nell'udienza sul ricorso contro l'arresto del suo assistito coinvolto nell'inchiesta sul "sistema Sesto" con le accuse di concorso in corruzione e concussione. Il legale ha chiesto che Di Leva venga rimesso in libertà, perché i reati contestati risalgono ad almeno 3 anni fa e non c'è più pericolo di reiterazione. In subordine che gli sia concessa una misura cautelare meno coercitiva. La decisione del collegio presieduto dal giudice Galli è prevista per martedì. Il legale ha depositato documenti a sostegno della tesi difensiva, secondo la quale tutti i soldi individuati sui conti dell'ex assessore sono tracciabili e hanno una giustificazione. "La nostra linea difensiva è fondata su prove documentali - ha spiegato al termine dell'udienza -. Di Leva non ha mai preso tangenti da chicchessia e confidiamo nella serietà di questo tribunale composto da magistrati di grande esperienza".
In merito alle accuse degli imprenditori Piero Di Caterina e Giuseppe Pasini, Vella ha detto: "Non pensiamo ci sia stato un accanimento da parte della Procura, ma riteniamo che abbia lavorato su dichiarazioni di soggetti che lasciano perplessi. Le propalazioni di Pasini e Di Caterina non sono trasparenti: lasciano intendere delle cose che non hanno riscontri per quanto riguarda il mio cliente".
Insomma secondo la difesa, la Procura di Monza non avrebbe in mano delle "prove", ma solo dichiarazioni di due personaggi che "lasciano perplessi" perché accusano gli ex amministratori senza fornire "riscontri".
Lo stesso scenario sembra emergere anche per quanto riguarda la nuova inchiesta sulla vendita di Serravalle. Anche in questo caso, infatti, l'accusatore Di Caterina non fornisce prove o riscontri, ma riferisce di aver saputo da terzi delle cose che sarebbero state dette durante una riunione alla quale ovviamente non era presente. "Chiaramente una dichiarazione del genere è poco per iscrivere Penati nel registro degli indagati - ha scritto ieri il quotidiano online Milano Today a commento della notizia -, è quindi possibile che i magistrati abbiano ora anche altri elementi.“ Aspettiamo di conoscerli.
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