domenica 11 settembre 2011

L'aquila nel pollaio

Paderno7, il megafonino virtuale della destra padernese, lo leggo per interesse “politico” locale, non certo per il piacere che me ne deriva. Il suo linguaggio, la scelta degli argomenti, il livello degli interventi e dei commenti, non mi appassionano e se non fosse per le ragioni di cui sopra non sprecherei certo il mio tempo. 
Fa eccezione tra tutti quelli che ci scrivono, un personaggio che il “direttore” del sito, Rienzo (chissà perché mi viene sempre di chiamarlo Rienzino) definisce quando ne parla, “il nostro tecnico”, per marcare la differenza tra lui e loro, i "giornalisti". Lorenzo Locatelli è davvero un curioso tipo di "tecnico" perché il suo linguaggio, lo stile di scrittura, la scelta degli argomenti, il livello dei suoi interventi e commenti si staccano nettamente da quelli degli altri autori e volano sempre tre metri sopra il cielo purtroppo bassino (rienzino) del sito.
Insomma di Paderno7, il “tecnico” Locatelli, è per me l’unico intellettuale la cui statura si vede a occhio nudo, l’unico che quando parla (scrive) dice quasi sempre cose meritevoli di lettura. Ne è l'ennesima prova il suo editoriale di oggi dedicato al decennale dell’11 settembre che vi invito caldamente a leggere.
Che cosa ci è rimasto e come siamo cambiati da allora? si chiede Lorenzo, sottolineando l’unicità di quel tragico evento capitato sotto gli occhi di tutto il mondo che, grazie alla potenza dei media, lo ha potuto vivere in diretta. Quel giorno, egli dice, abbiamo scoperto che il nostro mondo, dopo la fine della guerra fredda e della minaccia atomica, non era affatto diventato più sicuro e “da bere” come invece sostenevano quelli per i quali eravamo arrivati alla “fine della Storia” e al tramonto delle ideologie antagoniste (basta nemici, solo clienti, basta proletari, solo proprietari, ecc). Gli Usa, morto il comunismo sovietico, rimasti unica superpotenza mondiale, sembravano afflitti solo da un problema: “il pompinismo” alla Casa Bianca. E invece la Storia non era finita, i nemici non erano diventati clienti e l’Occidente scopriva di essere odiato da milioni, anzi miliardi, di proletari pronti a morire per gridarcelo in faccia, colpendo al cuore la capitale del benessere mondiale senza usare armi di distruzione di massa, ma solo gli strumenti banali (gli aerei) del nostro dispendioso stile di vita. 
Con le torri gemelle sono crollate anche le nostre illusorie certezze, sottolinea l'autore, che conclude il suo editoriale affermando che oggi, delle macerie fumanti di Manhattan, ci sono rimasti il coraggio e la speranza degli eroi che quel giorno e nei giorni successivi  hanno dimostrato la volontà e la forza di rinascere, dai pompieri di New York agli impiegati che grazie alla loro forza d’animo sono riusciti a fuggire incolumi dalle torri in fiamme e a tornare a casa per riprendere a vivere. Il loro esempio, afferma Locatelli, ha salvato il nostro futuro.
Io non condivido in pieno questa certezza, il coraggio e la speranza sono fondamentali, ma non bastano per costruire un mondo nuovo: ci vogliono nuove idee fondanti che ancora non emergono ed è la loro assenza che provoca la perdurante crisi dell'Occidente.  Ma sono pronto ad affermare che Locatelli non è un tecnico, ma un intellettuale “che si nega” per ragioni che solo lui conosce. Che ci fa un’aquila come lui nel pollaio di Paderno7 è un mistero.

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