L'approccio al mercato del lavoro dei neolaureati milanesi è la precarietà. Lo conferma il rapporto “Laureati in Lombardia: è ancora crisi?” promosso da Camera di commercio di Milano, Unioncamere Lombardia e Regione Lombardia. L'anno scorso il numero di neo-laureati (ultimi 3 anni) assorbiti dal sistema lombardo è cresciuto dell’8,4% rispetto al 2009 (da 32.575 a 35.308 assunzioni). Insomma, oltre un neolaureato lombardo su due trova lavoro a Milano. Bene anche Mantova (+15,9% rispetto al 2009), Monza e Brianza (+12,9%) e Varese (+9,9%). I neolaureati lombardi però difficilmente iniziano a lavorare con un contratto stabile: solo il 7% con un tempo indeterminato (era il 10,1% due anni fa). La modalità di ingresso nel mercato del lavoro è sempre più il tirocinio (32,3% per i laureati 2009, 10% in più rispetto ai colleghi del 2007), soprattutto a Milano. Il rapporto tra stage e possibilità di lavoro è labile. Uno si cinque di quelli che hanno iniziato con uno stage tre anni fa, è ancora oggi stagista (nella stessa azienda o in un’altra). Nell’11,7% dei casi ha un lavoro a tempo determinato, nel 10,5% ha un contratto Cococo/Cocopro mentre in meno di 1 caso su 10 (9,2%) riesce a ottenere un contratto a tempo indeterminato.
In compenso mentre i posti di lavoro stabili diminuiscono continua a crescere la domanda di neolaureati disposti a lavorare gratis o quasi, soprattutto a Milano (+10,7%). Chissà quando i giovani italiani si incazzeranno a cominceranno a buttare per aria questa finzione di "pace sociale" mantenuta a spese loro e delle loro famiglie?
4 commenti:
la cosa brutta è che in italia e a milano la disoccupazione giovanile è altissima e NESSUNA forza politica ne di destra ne di sinistra fa veramente qualcosa per invertire la tendenza, anzi si accolgono gli immigrati, ma che prospettive brutte brutte, la speranza è l'ultima a morire ma boh,
Marco
caro Marco, io non metterei in competizione gli immigrati in cerca di lavoro con i neolaureati senza lavoro. Il problema non è questo, un immigrato viene qui per fare il manovale, raccogliere pomodori, ecc. I neolaureati che sono costati alle famiglie e allo stato centinaia di migliaia di euro hanno diritto di aspettarsi altro. Se il nostro sistema economico non sa cosa farne e li usa come stagisti per tre-quattro anni dopo la laurea c'è qualcosa che non va nelle nostre politiche del lavoro e nelle nostre leggi. E' il modello economico che non funziona dal momento che non ha bisogno di competenze e innovazione, ma di manovalanza da pagare poco. L'impoverimento che l'Italia ha subito da quando si è sbagliando "andati incontro alle esigenze di flessibilità" delle nostre microimprese è lì a dimostrarlo. Il made in Italy e l'impresa precaria che lo sostiene è una palla al piede perché non dà da mangiare dignitosamente a 60 milioni di persone.
Caro Arcari,
di tutte quelle strane forme di assunzioni,cococo,a progetto,artigiani che lavorano presso aziende,consulenti con ritenuta d'acconto, e chi più ne ha più ne metta, dobbiamo ringraziare il famigerato art.18 dello statuto dei lavoratori.
L'indissolubilità del rapporto di lavoro in una società di libero mercato è contronatura.
Per chi viene messo fuori dal ciclo produttivo temporaneamente, si devono prevedere altre forme di sostegno, a carico dello stato o del sindacato ,non delle aziende.
Sono sicuro che non puoi essere
d'accordo ma tant'è.
Per quanto riguarda i laureati,quelli bravi non i scaldabanchi,Il loro nemico è il valore legale del titolo di studio.
Cordialmente
pierino favrin.
PS.risparmiami per favore eventuali insulti di chi non la pensa come me.
Sono d'accordo che l'art. 18 non è più una forma di tutela adeguata ai tempi. Se prima però non si procede a una riforma generale degli ammortizzatori sociali e del lavoro a tempo determinato (che deve valere per il lavoratore almeno il triplo del compenso regolare)non lo si può abolire e basta. Non mi risulta che Confindustria abbia mai proposto qualcosa del genere. La mia impressione è che i sindacati dormono da almeno 20 anni, ma i padroni ci marciano troppo e la politica li appoggia e sta a guardare. Per quanto riguarda il valore legale del titolo di studio sono d'accordo con te e lo è, mi pare, anche Bersani. Il problema vero è decidere che modello di sviluppo vogliamo. Se l'Italia deve rimanere un Paese di cuochi, edicolanti, tassisti, bottegai e artigianelli allora i laureati non servono. Ditemelo però, così cambio Paese e mi trasferisco oltralpe dove si punta ad altri traguardi economici e sociali.
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