martedì 7 giugno 2011

Neolaureati, dopo la scuola un futuro precario

L'approccio al mercato del lavoro dei neolaureati milanesi è la precarietà. Lo conferma il rapporto “Laureati in Lombardia: è ancora crisi?” promosso da Camera di commercio di Milano, Unioncamere Lombardia e Regione Lombardia. L'anno scorso il numero di neo-laureati (ultimi 3 anni) assorbiti dal sistema lombardo è cresciuto dell’8,4% rispetto al 2009 (da 32.575 a 35.308 assunzioni). Insomma, oltre un neolaureato lombardo su due trova lavoro a Milano. Bene anche Mantova (+15,9% rispetto al 2009), Monza e Brianza (+12,9%) e Varese (+9,9%).  I neolaureati lombardi però difficilmente iniziano a lavorare con un contratto stabile: solo il 7% con un tempo indeterminato (era il 10,1% due anni fa). La modalità di ingresso nel mercato del lavoro è sempre più il tirocinio (32,3% per i laureati 2009, 10% in più rispetto ai colleghi del 2007), soprattutto a Milano. Il rapporto tra stage e possibilità di lavoro è labile. Uno si cinque di quelli che hanno iniziato con uno stage tre anni fa,  è ancora oggi stagista (nella stessa azienda o in un’altra). Nell’11,7% dei casi ha un lavoro a tempo determinato, nel 10,5% ha un contratto Cococo/Cocopro mentre in meno di 1 caso su 10 (9,2%) riesce a ottenere un contratto a tempo indeterminato. 
In compenso mentre i posti di lavoro stabili diminuiscono continua a crescere la domanda di neolaureati disposti a lavorare gratis o quasi, soprattutto a Milano (+10,7%). Chissà quando i giovani italiani si incazzeranno a cominceranno a buttare per aria questa finzione di "pace sociale" mantenuta a spese loro e delle loro famiglie?

4 commenti:

Anonimo ha detto...

la cosa brutta è che in italia e a milano la disoccupazione giovanile è altissima e NESSUNA forza politica ne di destra ne di sinistra fa veramente qualcosa per invertire la tendenza, anzi si accolgono gli immigrati, ma che prospettive brutte brutte, la speranza è l'ultima a morire ma boh,

Marco

carlo arcari ha detto...

caro Marco, io non metterei in competizione gli immigrati in cerca di lavoro con i neolaureati senza lavoro. Il problema non è questo, un immigrato viene qui per fare il manovale, raccogliere pomodori, ecc. I neolaureati che sono costati alle famiglie e allo stato centinaia di migliaia di euro hanno diritto di aspettarsi altro. Se il nostro sistema economico non sa cosa farne e li usa come stagisti per tre-quattro anni dopo la laurea c'è qualcosa che non va nelle nostre politiche del lavoro e nelle nostre leggi. E' il modello economico che non funziona dal momento che non ha bisogno di competenze e innovazione, ma di manovalanza da pagare poco. L'impoverimento che l'Italia ha subito da quando si è sbagliando "andati incontro alle esigenze di flessibilità" delle nostre microimprese è lì a dimostrarlo. Il made in Italy e l'impresa precaria che lo sostiene è una palla al piede perché non dà da mangiare dignitosamente a 60 milioni di persone.

Anonimo ha detto...

Caro Arcari,
di tutte quelle strane forme di assunzioni,cococo,a progetto,artigiani che lavorano presso aziende,consulenti con ritenuta d'acconto, e chi più ne ha più ne metta, dobbiamo ringraziare il famigerato art.18 dello statuto dei lavoratori.
L'indissolubilità del rapporto di lavoro in una società di libero mercato è contronatura.
Per chi viene messo fuori dal ciclo produttivo temporaneamente, si devono prevedere altre forme di sostegno, a carico dello stato o del sindacato ,non delle aziende.
Sono sicuro che non puoi essere
d'accordo ma tant'è.
Per quanto riguarda i laureati,quelli bravi non i scaldabanchi,Il loro nemico è il valore legale del titolo di studio.
Cordialmente
pierino favrin.
PS.risparmiami per favore eventuali insulti di chi non la pensa come me.

carlo arcari ha detto...

Sono d'accordo che l'art. 18 non è più una forma di tutela adeguata ai tempi. Se prima però non si procede a una riforma generale degli ammortizzatori sociali e del lavoro a tempo determinato (che deve valere per il lavoratore almeno il triplo del compenso regolare)non lo si può abolire e basta. Non mi risulta che Confindustria abbia mai proposto qualcosa del genere. La mia impressione è che i sindacati dormono da almeno 20 anni, ma i padroni ci marciano troppo e la politica li appoggia e sta a guardare. Per quanto riguarda il valore legale del titolo di studio sono d'accordo con te e lo è, mi pare, anche Bersani. Il problema vero è decidere che modello di sviluppo vogliamo. Se l'Italia deve rimanere un Paese di cuochi, edicolanti, tassisti, bottegai e artigianelli allora i laureati non servono. Ditemelo però, così cambio Paese e mi trasferisco oltralpe dove si punta ad altri traguardi economici e sociali.