giovedì 9 giugno 2011

La Lega annusa la sconfitta e vuole la messa in dialetto

La Lega, annusata la puzza di cadavere della sua ultima stagione politica, comincia ad annaspare. I gerarchi padani, in questi giorni in cui il loro mondo si è messo traballare scosso dal terremoto elettorale e vedono allontanarsi il traguardo federalista che appariva  fino a poche settimane fa a portata di mano, sembrano colti dalla frenesia di arraffare fino all’ultimo qualcosa. 
Come predoni costretti dall’arrivo della cavalleria ad abbandonare il paesello razziato cercano di sgraffignare un prosciutto da una cucina e l'ultima damigiana di vino della cantina. Devono riuscire a portare a casa qualcosa di visibile che assomigli anche vagamente a un bottino politico, il simbolo di un potere e di una forza che non hanno più, da mostrare ai loro elettori stanchi di illusioni e promesse. Non si spiega altrimenti la guerriglia scatenata per ottenere nei summit notturni tenuti nella villa di Arcore, già sede di incontri d'altro genere, la promessa berlusconiana di qualche ufficio ministeriale, strappato a Roma e da portare nelle Regioni del Nord come un ostaggio federalista.
Ma quello che fa più sensazione e dimostra che ormai i lumbard vanno a ruota libera, è il tentativo di far celebrare nella vandea leghista del trevigiano, una messa in dialetto veneto. Non in chiesa, ma all’aperto, su un palco eretto nella piazza di Vedelago, in modo da rendere l’evento il più mediatico possibile. Per ora la richiesta ha provocato la reazione negativa della diocesi trevigiana che ha ricordato alle esagitate sturmtruppen leghiste che la “lingua” veneta non è consentita per la celebrazione di una Santa Messa, perché non esiste e non è previsto alcun messale in quel dialetto. Le lingue consentite per le funzioni religiose, spiegano le stesse fonti, sono quella italiana e quella latina, oppure lingue locali approvate da una trentina d’anni, quali il friulano. Si accontentino della predica, se proprio ci tengono, e vadano in pace. O, se la pace non è nelle loro corde, in mona.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Oh, ma tutti sti ultrà del dialetto come sono messi con l'Inglese?
Mi sa che potremmo fare una valanga di filmati da sganasciarsi su YouTube...

Anonimo ha detto...

Te no a ramaricas per i to man
se in no perfet me quei de una mudela
e se ferì purtrop in del scutas
a in pu morbid me quei che fan fanela
amiri mi in to man tant laburius
per quel c'han fa e che in dre a fa ancamò
mi sun de lur inscì tant urguglius
paroi per ringrasiai ghe no asè no
e che dulces po dan i so cares
che me fan di Signur fam un piasè
ch'abien mai de finì tuc sti dulces
Te preghi fa che sia no dre a sugnà
ma se l'è un sogn Signur fam un piasè
fam vif inscì fam minga disedà.

Non Ti devi rammaricare per le Tue mani
se non sono perfette come quelle di una modella
e se ferite purtroppo nello scottarsi
non sono morbide come quelle che non fanno niente
ammiro io le tue mani tanto laboriose
per quello che hanno fatto e fanno tuttora
Io sono di loro tanto orgoglioso
parole per ringraziarle non ne ho abbastanza
E poi che ebbrezze danno le sue carezze
che mi fanno dire Signore fammi un piacere
che non abbiano mai a finire tutte queste dolcezze
Ti pregho fa che non sia dietro a sognare
e se è un sogno Ti prego fammi un favore
fammi vivere così con fammi risvegliare.

Questa è una poesia che ho dedicato alle mani di mia moglie.

Penso che questo sia un modesto contributo per tenere vivo il nostro dialetto,più di tutte le baggianate della lega,
pierino favrin