Ieri gita alle Cinque Terre. Programma classico: treno fino a Riomaggiore, poi a piedi verso Manarola e Corniglia. Bagno allo “spiaggione” e sosta ristoro in paese. Pomeriggio da concludere open, cioè a seconda della situazione (muscoli indolenziti, caldo, stanchezza, ecc).
Era una prima assoluta per tutti: io e Isabella, infatti non le avevamo mai viste queste meraviglie della Liguria, famose per il vino fin dall’antichità e per lo straordinario ambiente naturale, scogliere a picco sul mare cristallino, chilometri di fasce strappate alla montagna coltivate a ulivi e vigneti, grumi di case colorate aggrappate alle rocce, sospese tra onde e nuvole.
L’approccio è stato subito sgradevole. Le Cinque terre costano e non poco: 5 euro a persona, 2,50 i minori di 12 anni per accedere al sentiero che va da Rio Maggiore a Monterosso. Non c’era scritto da nessuna parte, nemmeno sulla Guida che il Touring Club ha editato nel 2006 sulla quale si trovano tutte le informazioni possibili (elenco di alberghi e ristoranti, negozi, treni, traghetti e altri servizi), meno che questa. Io non l’ho mai letto da nessuna parte nei numerosi articoli di giornale dedicati a queste affollatissime mete turistiche, eppure mi assicurano le gentili signore addette alla biglietteria che è così dal 2001. La prima parte del percorso, la celeberrima “Via dell’amore” è ben tenuta, se si esclude le migliaia di inevitabili quanto stupidi lucchetti attaccati da tutte le parti, anche sui rami degli alberi, dai lettori di quello spacciatore di droga pesante per minorenni che risponde al nome di Moccia, e i numerosissimi graffiti amorosi lasciati dovunque, su muretti e rocce, incisi perfino sulle agavi. Avranno le loro brave spese di manutenzione quelli del Parco, ma 5 euro mi sembrano comunque troppi.
Anche perché fino a dopo Manarola il sentiero appariva in ordine, ma diventava ben presto un tratturo sdirrupato e poco agevole, irto di spuntoni e buchi. La delusione aumenta arrivati in vista dello “spiaggione” di Corniglia, una stretta striscia di grossi ciottoli sotto la sede della ferrovia. Qui la strada attraversa un centinaio di metri di rottami di catapecchie demolite che sembrano i resti di stabilimenti balneari abbandonati. Non fanno certo un bel vedere in un celebre “Parco naturale” e non si capisce perché vengano lasciati lì in quel modo. Alla stazione ferroviaria godiamo del primo e unico vero servizio offerto dal pesante ticket: un pulmino gratuito per raggiungere il paese che sta 357 gradini più in alto.
Confronto a Rio Maggiore e Manarola, Corniglia è decisamente più carina, forse perché meno accessibile e affollata. Vicoli ombrosi, piazzette, terrazze affacciate sul mare, fontane di acqua fresca (e una colazione a base di farinata di ceci calda), ci riconciliano un po’ e forse per questo decidiamo nonostante tutto (mia figlia aveva rimediato allo “spiaggione” una estesa ustione da medusa, ridotta grazie all’ammoniaca che fortunatamente il capostazione ci ha fornito) di proseguire per Vernazza. Decisione infausta perché la giornata fino a quel momento rinfrescata dal vento e dalle nuvole che coprivano il sole di mezzogiorno è diventata rovente facendo di quest’ultimo tratto (quattro chilometri di saliscendi tutti al sole) una specie di Golgota. A Prevo l’unico borgo incontrato sulla strada un baretto vendeva acqua a due euro la bottiglia: più cara della benzina.
In conclusione mi sembra di poter dire che le Cinque Terre sono bellissime, ma come altre mete turistiche made in Italy, maltenute e poco valorizzate perché gestite come al solito “all’italiana”, senza cioè fare una scelta chiara di politica dell’accoglienza. O se ne fa una meta d’elite per chi ama godere la natura incontaminata e l’ambiente ed è disposto a pagare per questo, anche più di 5 euro al giorno, ma allora bisogna dare in cambio servizi più adeguati, tenendo in ordine i sentieri, eliminando, oltre ai tratti franati e sgarrupati lasciati così, i graffiti e i lucchetti del turismo di massa, attrezzandoli con posti di ristoro e di assistenza più credibili che non i quattro gabbiotti sbilenchi dove un giovane annoiato che sfoglia una rivista ti chiede stancamente di mostrare il biglietto d’ingresso.
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