Come si fa a non essere daccordo con
chi afferma: "la sinistra che non cambia diventa destra"?
Chi lo dice scopre l'acqua calda. La sinistra politica da sempre
incarna l'idea di progresso e sa che deve cambiare, se
vuol rimanere "sinistra" e continuare a costruire il "mondo nuovo" che invecchia, e deve continuamente progredire.
La sinistra da quando esiste l'ha fatto molte volte, ma il problema è sempre stato come cambiare, per fare cosa?
Le idee della
sinistra europea in economia, ad esempio, hanno perseguito negli ultimi 100 anni il marxismo, la dottrina keynesiana e il
welfare state, la democrazia industriale e l'economia
sociale di mercato, la nazionalizzazione dell'economia e
l'economia pianificata, fino alla terza via liberal
socialista.
Ma qual è la sinistra alla quale pensa Renzi quando chiede al Partito Democratico di cambiare e a militanti ed elettori del partito di farsi conquistare dallo stupore? Al di là degli slogan a effetto la sua scelta di sinistra qual è: uguaglianza prima del merito o il contrario? L'uguaglianza dei bisogni viene prima di ogni altro valore o no?
E sul lavoro che manca da creare per i giovani cosa dice di concreto? "Cambiare il sistema della formazione professionale, vanno rivoluzionati i centro per l'impiego. Voglio difendere l'italianità della qualità, dei prodotti, dei lavoratori". Tutto qui lo "stupore"?
A me pare che la sua sfida lanciata alla Leopolda nel nome
della "sinistra che cambia",
non sia rivolta a un Paese profondamente ingiusto da trasformare,
ma più modestamente al Partito Democratico in quanto "partito", erede di
"partiti" di massa. Non a caso non ha voluto bandiere del
PD su suo palco, perché ciò che gli preme è distruggere la logica
del partito. Renzi insomma vuole oggi come ieri rottamare il PD e
vuole fare il Sindaco d'Italia in nome di una democrazia diretta e
personalizzata, programma nel quale il partito che non è il suo e che egli vuol distruggere, non si riconoscerà e si spaccherà.
La domanda a questo punto è perché sprecare tante energie per conquistare e rottamare un partito estraneo alla propria visione, quando potrebbe invece costruirsene uno nuovo su misura e usarlo per cambiare davvero il Paese? Forse perché non saprebbe da che parte cominciare ed ereditare il vecchio è più facile che costruire e far vivere il nuovo?
1 commento:
A complemento di quanto scritto, vale la pena di leggere l'editoriale di Carlo Freccero, uscito su lManifesto di ieri:
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/ricerca/nocache/1/manip2n1/20131029/manip2pg/01/manip2pz/347794/manip2r1/freccero/
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