domenica 1 dicembre 2013

Una coca è una coca è una coca

Sono contrario alla pena di morte., ma per il populismo e i populisti sono sempre pronto a fare un'eccezione. Non li sopporto.
Vi racconto questa piccola storia che spiega molto bene gli enormi danni che il populismo fa quotidianamente alla nostra fragile società.
Nei giorni scorsi a Firenze, Fabio Volo, un autore che fosse per me morirebbe di fame, ma che è diventato miliardario lavorando in Tv e scrivendo libri inconsistenti che (forse proprio per questo) vendono milioni di copie, entra con un amico nel bar più lussuoso e antico della città e in quell'ambiente affrescato e arredato con mobili d'antiquariato, comodamente seduto in poltrona, ordina un caffe e due coche.
Quando chiede il conto gli portano uno scontrino di 20 euro e lui si sente truffato, si indigna, lo fotografa con il suo smartphone e lo mette subito in rete via Twitter lamentandosi del prezzo con le migliaia di fan e amici che lo seguono on line (800mila).
Nel merito mi sembra un comportamento inaccettabile e volgare. Cosa pretendeva di pagare il miliardario Fabio Volo quella consumazione entrando nel migliore bar della più famosa città d'arte del mondo? Quello che si paga in un bar della periferia di Brescia da dove proviene? Non credo che sia così cretino da non rendersi conto della differenza. E allora perché ha voluto fare questa stupida cosa? Per andare sui giornali e spingere anche con questa bella impresa "social" il suo nuovo libro che manco a dirlo si trova già in cima alle classifiche?
Comunque sia quello che mi offende è il fatto che un personaggio mediatico, nel quale si identificano milioni di giovani-adulti italiani, per attirare su di sé un flash in più  non esita a diffondere ancora una volta l'idea plebea, reazionaria e ignorante che la qualità non esiste, la cultura non ha valore e il buon gusto non serve a niente.
Fabio Volo appartiene a quella sottospecie di italiani davvero convinti che con la Divina Commedia non ci si possa sfamare, che l'arte sia un inutile orpello e non meriti riconoscimento.
La sua impresa demagogica afferma questo concetto: non è giusto pagare 20 euro  per consumare con comodità in compagnia di un amico, in un ambiente lussuoso e molto gradevole, due bibite che al banco costano al massimo 3,5 euro l'una.  Perché ammettere che i mobili d'epoca, i soffitti affrescati, i camerieri inappuntabili, la poltrona di pelle di cui godo la morbidezza  bevendo quel volgare liquido gassato hanno un valore che è giusto pagare perché sono frutto del lavoro dei quaranta dipendenti del bar aperto tre secoli fa nel centro di Firenze e dei 45mila euro al mese che paga il titolare per l'affitto del locale? Una coca è una coca, che diamine.
Ecco spiegato il perché quando vedo o anche solo sento parlare di Fabio Volo e di quelli come lui, protagonisti vincenti di quest'era decadente, la mia mano corre fulminea al calcio della pistola.

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