La scorsa settimana, per iniziativa dell’amministrazione comunale padernese, si è tenuta un’assemblea pubblica sulle problematiche negative che comporta il rispetto del patto di stabilità da parte degli enti locali. Alla presenza di tre sindaci – Paderno, Cusano e Cinisello, esponenti di partiti diversi a capo di maggioranze di segno politico opposto – si è ragionato sulla comune difficoltà a mantenere i programmi per i quali si è stati eletti dai cittadini dentro la morsa determinata dal rispetto di un patto che non solo limita l’autonomia di spesa degli enti, ma li obbliga ad un risparmio forzoso, vissuto oggi da tutti come un aggravio rispetto ad una situazione finanziaria sempre più precaria.
Se la protesta non solo è legittima, ma anche condivisibile da chi come noi siede all’opposizione dell’attuale giunta padernese, quello che andrebbe invece approfondito è l’eventuale proposta per arrivare ad un superamento dell’attuale patto, senza pregiudicarne l’obiettivo di contenimento della spesa – in sostanza per arginarne gli sprechi – per cui era nato.
Vorrei portare in questa sede alcuni spunti di riflessione che mi sembrano indispensabili per concorrere a determinare qualche cambiamento in merito.
1 – COSTRUIRE UNA POSIZIONE ISTITUZIONALE COMUNE DENTRO L’AREA METROPOLITANA MILANESE, A PARTIRE DAL NORD MILANO.
Pensare di uscire dalla morsa in beata solitudine – o violando il patto o cercando sponde istituzionali che possano assolvere alle eventuali debolezze finanziarie di un ente – è un percorso rischioso, inutile e non virtuoso, da evitare. Ma costruire insieme una proposta territoriale che possa assumere un carattere sempre più largo (dall’area metropolitana milanese fino al coinvolgimento della Regione) i cui parametri possano dare più ossigeno ai Comuni soprattutto per quanto riguarda la propria spesa di investimento, potrebbe essere una soluzione innovativa rispetto alla situazione attuale.
Il punto sta proprio nel rilanciare l’obiettivo di fondo del patto: risparmiare sulla spesa riducendo gli sprechi (e per questo contenere la spesa corrente), ma non prevaricare la spesa d’investimento, mettendo in moto quel volano pubblico che serve anche alla crescita economica del Paese. Se anche questo significasse meno rigore per i Comuni sul piano finanziario (ma con precisi impegni programmatori da cui non derogare), ricordiamo che in questi anni proprio i Comuni hanno totalizzato il miglior risultato complessivo di risparmio, mentre lo stesso parametro di virtuosità non ha riguardato né Province né Regioni né il corpo centrale dello Stato. C’è da riprendere il filo di un ragionamento intorno ad un federalismo fiscale nel segno dell’unità territoriale e della solidarietà nazionale che si è perduto per colpa di chi lo aveva trasformato in una bandiera di pura propaganda ideologica (vedi anche il retro del volantino che presentava la serata : una serie di cifre a dimostrare virtù nordiste e vizi meridionali, peccato non ci fossero segnati i milioni di aiuti statali a Roma e Catania negli anni in cui la destra governava entrambe le città e l’intero Paese – a proposito di sprechi e favori, coi leghisti al governo, tanto per fare un esempio).
2 – COINVOLGERE I CITTADINI PER UN
PATTO CHE RAPPRESENTI ANCHE UN RILANCIO DELLA POLITICA E DELLA
RAPPRESENTANZA ISTITUZIONALE.
Pensare ad una discussione tutta
tecnicista (sulla formulazione del patto, se per tetti di spesa o per
obiettivi di risparmio) o tutta delegata ai livelli istituzionali
(dai sindaci ai governatori ai parlamentari) rischia di diventare
controproducente perché tiene lontani i cittadini da una precisa
presa di coscienza del problema, incentivandone l’ostilità laddove
le stesse istituzioni ne denunciano il limite.
In momenti di crisi
come questo, dove c’è bisogno dell’intervento pubblico a più
livelli, i cittadini si aspettano dai propri amministratori -
Sindaci in testa – la capacità di trasformare in realtà i
programmi per cui sono stati eletti. E qui tutta la politica si gioca
la propria credibilità – non a caso avanzano non voto e voti
antisistema, quando le risposte non arrivano o faticano a farsi
sentire. Quindi, è nell’interesse non solo di chi amministra gli
enti, ma di tutto il sistema politico, che si vada definendo un patto
economico sostenibile prima ancora di un patto tutto finanziario come
l’attuale, che sicuramente mette al riparo i conti pubblici ma non
rende giustizia nel suo insieme a quell’obiettivo di fondo che
ognuno di noi invoca da tempo: razionalità della spesa pubblica, suo
contenimento con eliminazione di sprechi e sacche di privilegio, tale
da liberare risorse importanti nella politica di investimento (che
non significa necessariamente “grandi opere” a tutti i livelli,
potendo investire in un’unica grande opera collettiva che è la
ristrutturazione del patrimonio pubblico, soprattutto in chiave di
innovazione tecnologica).
In questo senso, i Comuni e quindi i
Sindaci come rappresentanti politici e istituzionali del territorio
possono fare molto, purchè escano dalla propria “riserva” e
siano in grado di giocare una partita d’insieme anche confrontando
i risultati raggiunti dagli enti che amministrano e mettendo insieme
una serie di buone pratiche valutabili dai propri cittadini, non
spettatori ma protagonisti delle scelte da fare. Se si ricostruisce
questo tessuto sociale e politico, probabilmente tornerà ad essere
più popolare anche l’appartenenza europea e la comune
partecipazione alla sua unità politica ed economica, che non può
restare tutta concentrata nella moneta unica e nella direzione
finanziaria della banca Centrale – e il voto di insofferenza che
premia i partiti antieuropeisti rischia di allargarsi alla prossima
scadenza elettorale. Sottolineo questo passaggio perché a nessuno
sfugge il nesso tra patto di stabilità locale e il patto di
stabilità generale che lega i singoli Stati europei : proprio per
questo sono convinto che anche nelle politiche locali occorra un
respiro ben più largo di quello spesso campanilistico e localistico
in maniera asfittica che tanto condiziona oggi le scelte politiche
anche in ambito comunale. Occorre guardare alto, e su questo
costruire una nuova cittadinanza e un patto più forte tra cittadini
e rappresentanza politica.
3 – OLTRE IL PATTO: STRUMENTI UTILI
PER POLITICHE CHE RENDANO GLI ENTI LOCALI SEMPRE PIU’ AUTONOMI A
LIVELLO FINANZIARIO, PRODUCENDO MAGGIORE RICCHEZZA AL SISTEMA PAESE.
Credo che oltre alla correzione delle
storture del patto di stabilità, i Sindaci debbano muoversi per
arrivare a definire strumenti che possano incedere nell’aumentare
il grado di autonomia finanziaria dei propri enti, concetto basilare
per un vero protagonismo economico dei territori. Mi riferisco ad
esempio ad alcune leve di cui si era anche discusso negli anni ma che
sono rimaste lettera morta (o quasi). Una leva è il CATASTO, cioè
la possibilità di poter intervenire sulla banca dati catastale in
modo da allineare la (spesso) fatiscente situazione cartacea
allineandola alla fotografia del reale (è notizia recente di decine
di migliaia di abitazioni sconosciute al catasto ma ben edificate sul
terreno, questo in Lombardia e non nel profondo sud…). L’incidenza
di questa operazione produrrebbe non solo maggiori risorse, ma anche
una maggiore giustizia sociale di cui il nostro sistema Paese ha
urgentemente bisogno. Così come, oltre al recupero dell’evasione e
dell’elusione tributaria in cui si sono distinti i comuni in questi
anni (il recupero di risorse dovute all’ente e non versate dai
cittadini), andrebbe data la possibilità agli enti di un RECUPERO
fiscale dei propri cittadini in unità con l’azione delle agenzie
preposte. Anche qui si possono raggiungere due obiettivi :
finanziario (trattenendo quota del recupero realizzato e godendo di
un maggiore gettito dall’Irpef) ed egualmente di giustizia sociale.
Come andrebbe rivendicata la possibilità degli enti di poter gestire
servizi con SOCIETA’ PROPRIE, accorpando funzioni diverse che
producano attivi tali da garantire servizi anche non obbligatori che
l’ente intende comunque erogare ai propri cittadini. E qui si
potrebbe misurare anche la differenza tra “filosofie” politiche e
capacità gestionali, tra politiche “individualiste” invece che
orientate alla collettività. Ma in entrambi i casi, con l’obbligo
di gestioni trasparenti e in pareggio di bilancio, in modo da non
sottrarsi al concetto di virtuosità finanziaria che ci ha sempre
accompagnato.
In definitiva, è proprio costruendo
una strada di piena e reale autonomia finanziaria che si può
rilanciare la politica degli enti locali, ma il modo in cui si può
fare non è neutro né individuale. Io credo che occorra costruire a
più livelli un manifesto di intenti di carattere istituzionale
trasversale ai partiti, ma al contempo occorre mettere in campo un
“punto di vista” che miri al rilancio dell’autonomia
finanziaria degli enti locali in una logica di federalismo fiscale
virtuoso e solidale. In cui non si discuta solo di tasse o tributi,
ma si coniughi le entrate di imposta agli obiettivi programmatici di
chi è stato scelto per governare. E si coniughi altresì le
entrate di imposta a quel concetto di giustizia sociale per cui chi
più ha più paghi, unito al concetto che le risorse servono a
garantire servizi e quindi anche la spesa va contenuta in modo da
garantire più servizi ad una platea larga di cittadini utenti. E non
sarebbe quindi utopistico pensare che solo se tutti pagano il giusto
sia possibile anche pagare tutti meno, dato l’endemica evasione
fiscale vera piaga di questo Paese. Rimettere al centro del sistema
politico i Sindaci e le amministrazioni locali, in definitiva,
potrebbe produrre più ricchezza e quindi più risorse da investire
nel rilancio del sistema Paese. Questa è la sfida che possiamo
giocare tutti insieme, cittadini amministrati e cittadini
amministratori.
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