giovedì 10 gennaio 2013

Dal popolo, per il popolo


Sta per arrivare nelle sale cinematografiche italiane "Lincoln", ultimo capolavoro di Steven Spielberg candidato a ben 12 Oscar.
Il film, già in circolazione negli Stati Uniti da metà novembre, è stato tratto dal libro "Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln" scritto dalla storica americana, Doris Kearns Goodwin. Il regista che al tema della schiavitù negli Stati Uniti aveva già dedicato un altro film di successo "Amistad" nel 1997, torna così ad occuparsi di una ferita della storia moderna che non sembra ancora del tutto rimarginata.
La pellicola racconta gli ultimi quattro mesi di presidenza e di vita di Abramo Lincoln interpretato da Daniel Day-Lewis, e rivela la passione e l’umanità di un uomo impegnato, contro ogni pressione pubblica e privata, nella ricostruzione di un paese distrutto dalla guerra civile. Far rinascere gli Stati Uniti, per Lincoln, vuol dire prima di tutto far approvare il 13° emendamento che abolisce la schiavitù, facendo compiere un passo avanti all’intera umanità.
Per raggiungere questo grande traguardo che dava un senso e giustificava l'enorme tragedia della guerra civile (non a caso il film comincia con la scena selvaggia di un combattimento corpo a corpo nella terribile battaglia di Jenkins' Ferry tra soldati in blu e soldati in grigio), Lincoln ha fatto di tutto. Ha usato tutte le armi di cui disponeva compresa la corruzione e la compravendita uno ad uno dei voti necessari dei rappresentanti, per avere la maggioranza e far approvare un emendamento da un parlamento che non era affatto abolizionista e non voleva dare il diritto di voto e riconoscere i diritti civili agli ex schiavi di colore.
La prova d'attore di Daniel Day-Lewis, ma anche di Sally Field, Tommy Lee Jones, Hal Holbrook, David Strathairn e altri big è straordinaria. Il film nonostante la difficoltà di raccontare a tutti una materia difficile spiega chiaramente che cosa rendeva Lincoln un uomo speciale. Quando arrivò al potere si circondò delle persone migliori, le più abili, anche se erano in competizione con lui: William H. Seward, Salmon P. Chase, Edward Bates. La scelta fu vincente perché gli consentì di usare le qualità di ognuno di loro per realizzare l'esclusivo bene dell'Unione.
Era indubbiamente un capo atipico. Se cambiava idea lo riconosceva, se faceva un errore non lo nascondeva. Se le cose andavano bene, condivideva il successo con i suoi collaboratori. Se andavano male, non scaricava la responsabilità su altri. E soprattutto ascoltava l' opinione di tutti, anche le critiche più dure, a cominciare da quelle di sua moglie
Con i suoi discorsi da presidente ha scritto la storia. "Allora la politica era di livello altissimo – ha sottolineato la scrittrice del libro in un'intervista -. I discorsi, anche quelli di autodidatti come Lincoln, erano letterari e storici, sempre molto argomentati, senza volgarità. Il contrario della demagogia di oggi. Eppure i contadini venivano ipnotizzati dal suo linguaggio". 
Era davvero un abolizionista? Viene spesso citata una lettera che scrisse ad Horace Greeley in cui ammetteva: "Se potessi liberare l' Unione senza liberare un solo schiavo, lo farei". Lincoln voleva a tutti i costi vincere la guerra e salvare l' Unione perché aveva capito che senza abolire la schiavitù gli Stati Uniti sarebbero morti. Era un uomo, e il film lo mette bene in luce, dotato di una straordinaria intelligenza emotiva, che lo metteva in grado di comunicare intimamente con i suoi compatrioti. Sapeva cosa dire e in quale momento dirlo. Il famoso discorso di Gettysburg: " che l’idea di un governo di popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire sulla terra" rimane un capolavoro immortale.  

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