La crisi del modello di business basato sulla pubblicità e non sui lettori mette gli editori dei giornali di fronte alla necessità di recuperare margini facendo pagare l'accesso alle edizioni on line di quotidiani e periodici. Propongo agli interessati la lettura di questa analisi della situazione in Italia e nel mondo tratta da www.economiaweb.it
Da gennaio 2013 Corriere della Sera e
La Repubblica faranno pagare l’informazione on line. E potrebbero
essere seguiti presto dal Sole24Ore e da La Stampa. Il prezzo è
ancora in via di definizione, così come la quantità di articoli al
mese che sarà fruibile in forma gratuita. Il modello è quello dei
giornali online in abbonamento con modalità di pagamento differenti
insieme con una parte che resta, comunque, gratis.
A guidare questa tendenza è il calo
della pubblicità che riduce i ricavi dei giornali e restituisce ai
lettori il ruolo di target principale di mercato. Gli editori
americani sono stati i primi a buttarsi nel business del pagamento
delle notizia online, seguiti in Europa da inglesi e tedeschi con in
testa il gruppo Axel Springer, l’editore di Die Welt e Bild. Il
crollo della pubblicità è stato negli ultimi anni rovinoso: solo
negli Stati Uniti si sono persi 35 miliardi di investimenti su carta
dal 2008 al 2011, secondo dati di Newspaper Association of America
(Naa). In Italia l’andamento pubblicitario è simile: il mercato
degli annunci sui giornali è in calo del 10% in media dal 2008,
mentre sul web la pubblicità sale nello stesso periodo del 14% (dati
Nielsen).
Ma recuperare margini facendo pagare
quello che finora è stato gratis non è facile. Negli Usa i casi di
successo si contano sulle dita di una mano e i guadagni non coprono
ancora i mancati ricavi da pubblicità cartacea. A fine 2011 i
giornali che hanno avuto il risultato migliore sono stati Wall Street
Journal, a pagamento dal 1996, che nella versione completa (online
più digitale derivato dalla carta) costa 5,27 euro a settimana e ha
più di 500 mila abbonati e il New York Times, online da marzo 2011,
con 380 mila paganti sul web contro le 800 mila copie vendute in
edicola. L’abbonamento completo costa 35 dollari al mese e dà
l’acceso gratuito anche alla versione digitale del giornale
stampato su carta.
La domanda a cui gli editori in Europa
devono rispondere è semplice: può sopravvivere un quotidiano
digitale senza la collaborazione di Google, il più importante motore
di ricerca del mondo? In America qualcuno ha già risposto di sì. Si
tratta dell’Associazione nazionale dei giornali brasiliani, 154
membri che valgono il 90% della diffusione nazionale, che ha già
abbandonato Google News perché non paga i contenuti che aggrega e
porta via traffico invece di farlo arrivare ai giornali. Chissà se
in Europa gli editori avranno altrettanto coraggio.
3 commenti:
il problema mi sembra più vasto ed è: nell'epoca in cui quasi chiunque è in grado di pubblicare contenuti fruibili per quasi chiunque chi paga chi produce questi contenuti (film, inchieste giornalistiche, musica) in maniera professionale?
Maniera professionale significa anche essere sull'aereo del Presidente degli USA per tenerlo d'occhio mentre fa la sua campagna elettorale. Non a caso vedevo in un documentario che il numero di inviati che lo seguono sta scendendo.
Far pagare l'edizione online non è una soluzione completa perché ci saranno sempre testate gratuite che come copiano il New York Times in America copieranno le informazioni a pagamento del Corriere rendendole pubbliche su Google. Quindi meno abbonamenti online e quindi ulteriori tagli alle redazioni.
Ci sono 2 esempi che vanno in controtendenza: Wikileaks in alcuni suoi rilasci di informazioni riservate ha collaborato con alcune testate che le hanno filtrate (che significa non rilasciare informazioni che possono causare la morte di persone perché si parlava di servizi segreti) e un'associazione americana che collabora con testate finanziando inchieste giornalistiche.
Forse bisogna iniziare a superare la "testata giornalistica" classica con i suoi dipendenti fissi e pensare a una rete di associazioni di cittadini disposte a finanziare i blogger + bravi per fare inchieste sia credibili sia capaci di andare a fondo su aspetti ignorati da altri.
Sembra una riflessione lontana anni luce dalla nostra città ma se è vero che il tuo blog ha 400 visitatori unici al giorno e sono rare le testate cartacee che hanno tanti lettori forse è il caso di pensarci anche qui.
Gianni, la figura del mediatore dell'informazione è inevitabile perché necessaria. Il giornale come soggetto collettivo che raccoglie, seleziona e presenta le notizie, commentandole e fornendo chiavi di lettura diverse,non è sostituibile da una rete di cittadini informati sui fatti, riuniti in associazioni, che finanziano i blogger per fare inchieste. Primo perché le inchieste non sono le notizie, arrivano dopo, molto dopo rispetto alla domanda di informazione.
Se volessi trasformare il mio blog che oggi faccio da solo in un quotidiano online avrei bisogno di una redazione per raccogliere le notizie, i commenti e le interviste, raccogliere e selezionare i filmati, le fotografie, fare inchieste, redazionare e mettere tutto online Insomma non basterebbero cinque persone capaci di coinvolgerne altre 10 almeno come collaboratori per fare una cosa decente. Chi paga tutto questo, il volontariato? Non ci credo e non sarebbe giusto, i lettori usufruiscono di un servizio ed è normale che lo paghino.Insomma io saprei come fare, ma ci vorrebbero in ogni caso capitali da investire che non ci sono.
La figura del mediatore è necessaria, ma se si basa sul mercato i dati ci dicono che in America il New York Times negli ultimi anni ha diminuito la redazione e che con la versione cartacea fa fatica a stare in piedi e Newsweek è passato a essere solo online.
Io parlo di blogger ma intendendo che se si va su web certe cose funzionano meno: se scrivi sul corriere hai speranze di essere letto da molti perché sei su un unico documento cartaceo comprato da un lettore.
Ma nel web i confini tra un documento e un altro sono molto + labili: uno può leggere un articolo del Corsera online e da quello invece che andare agli altri cliccare e andare su un altro sito segnalato.
Quindi secondo me i giornalisti del futuro dovranno vedere se stessi un po' come blogger, nel senso che dovranno fondare la loro reputazione un po' di più su quello che riescono a mettere online e meno sull'autorità della loro testata.
Non a caso proprio al NY Times è stato assunto tempo fa un giornalista perché si era fatto un blog suo di successo.
Ovviamente un giornalista da solo non può sostituire una intera testata. Ma proprio per le carattestiche del web può occuparsi una fetta ben chiara di notizie.
Quel giornalista blogger sul NY Times si occupa di hi tech, non fa tutta le pagine di cronaca.
Blog o testata giornalistica chi dà notizie nel futuro avrà bisogno di soldi: secondo me averli dalla pubblicità e dalla vendita diretta sarà sempre più difficile.
E quindi bisogna iniziare a pensare che come la politica onesta va finanziata dai cittadini (si vedano i tanti paypal per Obama) così l'informazione.
Anche perché come ha mostrato chiaramente David Carr se chiude il New York times per il fatto che tutti vanno su Newserver che è gratis poi chiude anche Newserver perché riprende tutte le notizie dal New York times.
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