giovedì 12 giugno 2014

Viaggio in Russia tra Perestroika e pollo fritto del Kentucky

1) Rileggere il reportage di Roth sull'evoluzione della NEP e la costruzione dello stato sovietico nel 1926 mi ha fatto venire voglia di raccontare quello che è stato il mio piccolo (6 giorni) "viaggio in Russia" nell'estate del 1989, anno in cui si tennero le prime elezioni libere e il PCUS venne sfidato da candidati extra-partito. Come potevo perdermi l'occasione di vedere con i miei occhi l'inizio della fine dell'impero rosso e lo spettacolo di un gigantesco regime totalitario sul viale del tramonto?
Arrivai a Mosca con il classico volo serale Aeroflot da Vienna, atterrai a Sheremetyevo che faceva già buio. Facevo parte di una delegazione di costruttori italiani  di robot e macchine utensili, funzionari del Ministero del Commercio Estero, esponenti di Confindustria e broker di materie prime che avevano voluto al loro seguito anche un giornalista de Il Sole 24 Ore (il sottoscritto) e uno della redazione economica dei periodici Mondadori (un giovane Giorgio Meletti) affidati alle cure di un ancor più giovane PR della scuderia Barabino&Partners (di cui oggi è socio e vicepresidente), il mio caro amico Federico Stainer .
Arrivati in città dall'aeroporto viaggiando sulle delle enormi Chaika, gonfie e lente come dirigibili, gli imprenditori ed espositori vennero alloggiati in un grande albergo di lusso costruito nel più pacchiano stile americano vicino al quartiere fieristico, i Vip vennero alloggiati in una foresteria di stato, ospiti del governo, noi tre tapini invece ci infilarono in un rudere del più spartano stile sovietico, l'Hotel Intourist, decisamente modesto e bruttino, ma praticamente affacciato sul Cremlino perciò centralissimo e comodissimo per noi.
Il primo problema fu: dove si mangia? L'hotel vantava ben 4 ristoranti ma alle 22 erano già chiusi. Nema problema ci rassicurò Federico (parlava forse cinque parole di russo e se la tirava), che dopo averci fatto girare l'angolo dell'Hotel andò a colpo sicuro verso un palazzo dove c'era un ristorante riservato a chi poteva pagare in dollari. 
Bastò darne un paio al buttadentro per ottenere subito un tavolo, ma il servizio era non a la carte: ci toccarono un bell'antipasto russo di pesce (storione, salmone, trota affumicati) e caviale di vari tipi seguiti da un incredibile pollo fritto del Kentucky per la modica cifra di 80 dollari a testa, il tutto annaffiato da vino georgiano e vodka di prima qualità.
Tornati in albergo trovai nella mia camera la vecchia cameriera del piano che pescava un po' di Marlboro da un pacchetto incustodito sul mio comodino, ma io ero così allegro per il cibo e il vino che le regalai tutto il pacchetto ottenendo in cambio da quella nonnetta grandi sorrisi, inchini e baci lanciati a piene mani.
Il mattino dopo andammo alla fiera, la Metallobrabotka, dove incontrammo gli espositori facemmo un po' di interviste, assistemmo a una conferenza stampa italo-russa pertanto lunghetta e ci facemmo massacrare i timpani dallo stand Comau (Fiat) che esponeva a Mosca i suoi robot Smart ultimo modello a sei gradi di libertà i quali si muovevano con grazia seguendo una musica a volume altissimo che si ripeteva sempre uguale ogni quarto d'ora.
La nostra interprete Natasha, una biondina (ma le radici dei capelli erano nere e portava al collo una piccolissima stella di David) ci spiegava chi erano i visitatori e chi i compratori, cioè i funzionari dei vari ministeri perché nemmeno i direttori delle fabbriche più grandi potevano comprare direttamente le macchine, solo guardare e poi inviare la richiesta alla "bisignina" (una specie di centrale acquisti ministeriale) del settore...e aspettare la risposta. Il funzionamento del  sistema l'avremmo capito meglio il giorno dopo quando in programma c'era la visita della più grande fabbrica metalmeccanica di Mosca che si chiamava Proletariato Rosso e produceva macchine utensili d'avanguardia con tecnologie moderne.
Dopo il buffet nel pomeriggio io me ne andai a zonzo sull'Arbat e nella altre strade attorno alla Piazza Rossa, volevo vedere chi erano i moscoviti, entrare nei loro negozi, vedere come vestivano e come passavano la giornata fuori dal lavoro. Il negozio del macellaio era pieno di gente in fila con la sporta, disposti su più file, che lentamente si avvicinavano al banco. Sbirciando per vedere cosa c'era in vendita non riuscii a capire cosa fosse quell'ammasso di carne sanguinolenta che sembrava venisse macellata direttamente sul bancone. I pezzi non erano identificabili inoltre a pomeriggio inoltrato ce n'era rimasta ben poca e la maggior parte dei clienti sarebbe rimasta a bocca asciutta, Provai a tentare con i dolciumi, ma anche qui patetici pacchi di biscotti secchi, vasi di caramelle e poche torte dall'aria anemica. Niente di invitante. In una vietta laterale c'era animazione e vidi un camion che scaricava e vendeva direttamente dal pianale sacchi di patate. La fila era blandamente sorvegliata da miliziani armati. Le patate abbondavano.
Per chiudere con il tour merceologico entrai in un negozio di abbigliamento, ma i capi in vendita erano imbarazzanti per noi italiani. Era roba anni '60, per non parlare dell'abbigliamento intimo per signora, reggiseni in tela cerata rosa, fatti più per animali da tiro che essere indossati da una signora. Anche i mitici magazzini Gum si rivelarono una delusione; meravigliosa l'architettura, penose le vetrine che esponevano cose da merceria di paese. Mi guardavo in giro e mi chiedevo ma questi russi come si vestono? E poi a forza di guardare le gonne e i vestiti delle donne capii: in casa con la macchina da cucire, come facevano le nostre mamme negli anni 50-60 
Tornando in albergo un tizio mi fermò per strada e mi chiese sui due piedi di scambiarci le scarpe in cambio di un orologio da ufficiale dell'Armata Rossa. Declinai gentilmente l'offerta (anche perché di scarpe ne avevo portato solo tre paia) e me ne liberai regalandogli un sigaretta e chiacchierando un po' di Italia, musica e calcio in linguaggio babelico, russo, italiano, inglese.
La sera eravamo invitati a un ricevimento offerto non mi ricordo da chi in un locale dell'Arbat, il quartiere residenziale che nell'800 era considerato il più prestigioso di Mosca. Distrutto da Napoleone venne ricostruito e negli anni 20 era abitato e animato da numerosi artisti, accademici, e naturalmente funzionari pubblici di alto grado. Oggi è un'aera pedonale lunga un chilometro ad alta attrazione turistica.

(Continua)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Solo una correzione: Kentucky, con "ck".
Cordialità.

carlo arcari ha detto...

Grazie, correggo subito