Oggi sono contento. Ho cercato di
dare un po' di soddisfazione a mio padre (91 anni, malato e reduce da
tre ricoveri in ospedale tra luglio e agosto) e credo di esserci
riuscito. Ho redatto e stampato in un libretto di 60 pagine il
"diario storico" da lui scritto dal gennaio 1944 al maggio
1945 per narrare le vicende del reparto di paracadutisti che egli
aveva contribuito ad arruolare sotto la bandiera della Repubblica
Sociale Italiana.
Mi aveva chiesto di
farlo diversi anni fa affidandomi il suo "diario" scritto a
mano, ma finora per un insieme di ragioni non mi ero deciso ad accontentarlo.
Rileggendo quei fogli ormai ingialliti e riportandone il testo sul mio computer per impaginarlo mi sono convinto del
valore del suo contenuto e oggi sono felice di aver portato a termine
il lavoro.
Il diario è stato scritto quasi quotidianamente da un giovane di 22 anni che si trovò a dover fare una
scelta di campo cruciale l'8 settembre del 1943, dopo aver già
combattuto per tre lunghi anni in Albania, Grecia e infine sull'isola
di Creta. Racconta come egli giovanissimo si trovò ad
arruolare un battaglione di paracadutisti, come con loro fece il
primo lancio col paracadute, partecipò alla battaglia sul fronte di
Roma, tornò al Nord a piedi dopo lo sfondamento da parte della
Quinta Armata americana, camminando di notte con la sua pattuglia da
Gualdo Tadino a Cesena, partecipò alle battaglie che portarono alla
riconquista nazifascista della Val D'Ossola. Seguirono nel terribile
inverno del 1944 una dura campagna di rastrellamenti e combattimenti
contro i partigiani nelle Valli di Lanzo, nel Canavese e infine in
Val d'Aosta a S. Vincent dove il suo reparto si arrese il 2 maggio
del 1945 a un battaglione di soldati americani.
Quel libretto, insomma, è oggi un piccolo
documento storico, importante perché ci spiega come ha vissuto gli
eventi sanguinosi di quell'epoca drammatica uno dei tanti "ragazzi
di Salò" che decisero, arruolandosi nell'Esercito della
repubblica di Mussolini, di essere protagonisti del loro tempo
affermando, nello sfacelo della Nazione, l'idea di Patria come unico
valore.
Il diario descrive molto bene gli stati
d'animo, i sentimenti, le ideologie patriottiche e le illusioni alle
quali mio padre e i giovani come lui affidarono le loro scelte. Gli
slogan, le parole d'ordine, le analisi della realtà erano elementari
e la visione del futuro quasi inesistente. L'ignoranza su quello che
stava accadendo nel Paese e nel mondo era totale, ma combattere per
loro aveva uno scopo chiarissimo: sperare di ricostruire lo Stato
nazionale distrutto, liberando l'Italia invasa dagli stranieri,
americani e inglesi al Sud, tedeschi al Nord.
Quei giovani scioccati e tramortiti
dalla gigantesca perdita di identità subita l'8 settembre, reagivano
aggrappandosi a ciò che era loro rimasto: la divisa, il pugnale, i
fregi, le canzoni che parlavano di morte gloriosa, di ardimento e di
eroismo, di tradimenti da riscattare, di onore da riconquistare, di
morti da vendicare. Non parlavano di vita e di futuro perché
all'orizzonte dell'Italia, nel gennaio del 1944, c'erano solo le
notti e le nebbie di una tragica guerra fratricida che avrebbe
segnato le loro vite per sempre.
1 commento:
Quei giovani avevano qualcosa di molto poco italiano: la coerenza. L'Italia per 20 anni aveva esultato per il duce, i partigiani erano una minoranza e relativamente influente (quando gli americani hanno fermato l'avanzata in Italia si è fermata anche la "liberazione").
Sottoposta allo stesso trattamento che subisce la Siria (se la vedano i siriani) qui Mussolini avrebbe governato abbastanza tranquillamente fino alla morte e probabilmente ci sarebbe scappato un ventennio anche del figlio Romano (che un po' come Assad figlio non aveva voglia di fare politica).
Quei giovani ci ricordano però anche come non è la giovane età a rendere il giudizio infallibile, anzi è un'età dove si è facili ai "fondamentalismi"...ricordiamocelo anche in questi giorni di fronte a un certo linguaggio sul web (anche nei siti locali...)
Posta un commento