martedì 4 settembre 2012

Il valore della memoria


Oggi sono contento. Ho cercato di dare un po' di soddisfazione a mio padre (91 anni, malato e reduce da tre ricoveri in ospedale tra luglio e agosto) e credo di esserci riuscito. Ho redatto e stampato in un libretto di 60 pagine il "diario storico" da lui scritto dal gennaio 1944 al maggio 1945 per narrare le vicende del reparto di paracadutisti che egli aveva contribuito ad arruolare sotto la bandiera della Repubblica Sociale Italiana.
Mi aveva chiesto di farlo diversi anni fa affidandomi il suo "diario" scritto a mano, ma finora per un insieme di ragioni non mi ero deciso ad accontentarlo. Rileggendo quei fogli ormai ingialliti e riportandone il testo sul mio computer per impaginarlo mi sono convinto del valore del suo contenuto e oggi sono felice di aver portato a termine il lavoro.
Il diario è stato scritto quasi quotidianamente da un giovane di 22 anni che si trovò a dover fare una scelta di campo cruciale l'8 settembre del 1943, dopo aver già combattuto per tre lunghi anni in Albania, Grecia e infine sull'isola di Creta. Racconta come egli giovanissimo si trovò ad arruolare un battaglione di paracadutisti, come con loro fece il primo lancio col paracadute, partecipò alla battaglia sul fronte di Roma, tornò al Nord a piedi dopo lo sfondamento da parte della Quinta Armata americana, camminando di notte con la sua pattuglia da Gualdo Tadino a Cesena, partecipò alle battaglie che portarono alla riconquista nazifascista della Val D'Ossola. Seguirono nel terribile inverno del 1944 una dura campagna di rastrellamenti e combattimenti contro i partigiani nelle Valli di Lanzo, nel Canavese e infine in Val d'Aosta a S. Vincent dove il suo reparto si arrese il 2 maggio del 1945 a un battaglione di soldati americani.
Il diario nel dopoguerra è stato utilizzato in due processi come prova. Il primo processo, nel 1946, fu quello a carico di un ufficiale del reparto che nel dicembre '44 aveva fucilato sommariamente due paracadutisti che erano stati accusati di aver rubato soldi e gioielli da una casa da loro perquisita in Val di Lanzo, vicenda che mio padre aveva riportato puntualmente. Il secondo fu la causa per diffamazione intentata da Dario Fo negli anni 70 nei confronti del settimanale "Gente" che aveva qualificato l'attore "ex repubblichino" per via del servizio prestato da Fo nel battaglione paracadutisti della RSI anche se per un breve periodo (disertò alcuni mesi dopo l'arruolamento approfittando di una licenza).
Quel libretto, insomma, è oggi un piccolo documento storico, importante perché ci spiega come ha vissuto gli eventi sanguinosi di quell'epoca drammatica uno dei tanti "ragazzi di Salò" che decisero, arruolandosi nell'Esercito della repubblica di Mussolini, di essere protagonisti del loro tempo affermando, nello sfacelo della Nazione, l'idea di Patria come unico valore.
Il diario descrive molto bene gli stati d'animo, i sentimenti, le ideologie patriottiche e le illusioni alle quali mio padre e i giovani come lui affidarono le loro scelte. Gli slogan, le parole d'ordine, le analisi della realtà erano elementari e la visione del futuro quasi inesistente. L'ignoranza su quello che stava accadendo nel Paese e nel mondo era totale, ma combattere per loro aveva uno scopo chiarissimo: sperare di ricostruire lo Stato nazionale distrutto, liberando l'Italia invasa dagli stranieri, americani e inglesi al Sud, tedeschi al Nord.
Quei giovani scioccati e tramortiti dalla gigantesca perdita di identità subita l'8 settembre, reagivano aggrappandosi a ciò che era loro rimasto: la divisa, il pugnale, i fregi, le canzoni che parlavano di morte gloriosa, di ardimento e di eroismo, di tradimenti da riscattare, di onore da riconquistare, di morti da vendicare. Non parlavano di vita e di futuro perché all'orizzonte dell'Italia, nel gennaio del 1944, c'erano solo le notti e le nebbie di una tragica guerra fratricida che avrebbe segnato le loro vite per sempre.

1 commento:

Gianni Rubagotti ha detto...

Quei giovani avevano qualcosa di molto poco italiano: la coerenza. L'Italia per 20 anni aveva esultato per il duce, i partigiani erano una minoranza e relativamente influente (quando gli americani hanno fermato l'avanzata in Italia si è fermata anche la "liberazione").
Sottoposta allo stesso trattamento che subisce la Siria (se la vedano i siriani) qui Mussolini avrebbe governato abbastanza tranquillamente fino alla morte e probabilmente ci sarebbe scappato un ventennio anche del figlio Romano (che un po' come Assad figlio non aveva voglia di fare politica).
Quei giovani ci ricordano però anche come non è la giovane età a rendere il giudizio infallibile, anzi è un'età dove si è facili ai "fondamentalismi"...ricordiamocelo anche in questi giorni di fronte a un certo linguaggio sul web (anche nei siti locali...)