Erano trentanni almeno che non andavo al cinema con i miei genitori. Lunedì scorso mi è capitato di farlo a Chiavari. Siamo andati insieme al cinema Mignon, una storica saletta incastrata sotto i bassi portici del carrugio che taglia come uno stretto canyon da est a ovest il vecchio centro della città.
Un piacere per pochi intimi quasi tutti pensionati come noi (da pochi mesi condivido la condizione con i miei genitori e la cosa mi fa ancora un po' senso) che approfittavano del metà prezzo del lunedì pomeriggio (3 euro) praticato dal gestore che chiude con questa proiezione scontatissima la settimana di programmazione del film.
Lunedì scorso sullo schermo del Mignon ho assistito a una straordinaria prova d'attore, un film "teatrale" inglese ambientato sul set di un famoso film degli anni '50: "Il principe e la ballerina" girato a Londra nell'estate del 1956 e interpretato allora da due mostri sacri della scena: Laurence Olivier e Marilyn Monroe.
Il set durò soltanto una settimana ma il beckstage venne raccontato successivamente in due diari scritti dal secondo assistente del grande attore-regista, un giovane di 23 anni, il neo assunto Colin Clark. Per una magica settimana, tanto durò il set, ebbe l'avventura di vivere davvero la favola di un ragazzo qualunque che si trovò a fare il boy friend della donna più desiderata del mondo, fianco a fianco, in giro per l’Inghilterra e persino nello stesso letto dove l'attrice se lo portava a scambiare dolci coccole per placare le sue numerose e divoranti nevrosi.
Il film è malinconico e molto bello. Marilyn Monroe è splendidamente intrepretata da Michelle Williams che ha avuto il coraggio di affrontare una sfida quasi impossibile, calarsi nei panni del sex symbol femminile più osannato dei tempi moderni. La diva è una donna disturbata, insicura all’eccesso, inibita dagli psicofarmaci, minata dalla solitudine, delusa nel suo bisogno d'amore e di conferme. Eppure,davanti alla macchina presa come fuori scena, con un gesto, un sorriso, una frase innocente si trasformava nella verità che fa svanire l’interpretazione, diventava lo specchio e non la maschera. Una magia senza spiegazione. Incontrare i suoi occhi, guardare sue labbra dischiuse equivaleva a naufragare in un sogno.
Nel film capita al grande Lurence Olivier che odiava le sue capricciose fughe dal set, ma ne era affascinato, capita al suo giovane assistente che era ben felice di farsi usare come un orsetto di peluche quando l'attrice aveva bisogno di consolarsi abbracciando qualcosa di innocente e morbido.
Finito il film ognuno se ne andrà per la sua strada: Marilyn tornerà ad Hollywood a girare il suo più grande successo, "A qualcuno piace caldo", e Olivier metterà in scena nel West End il Tito Andronico di Shakespeare, che verrà ricordato come la sua più grande interpretazione teatrale. I due giganti, nei sette giorni in cui avevano lavorato insieme, evidentemente si erano scambiati qualcosa.
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