lunedì 5 marzo 2012

No Tav: perché non fare un referendum in Val Susa?



La "guerra dei due mondi", come ha definito Guido Viale sul Manifesto il conflitto scatenato tra i No Tav e il governo sulla linea ferroviaria Torino-Lione, è ormai arrivata vicinissima al punto di non ritorno e all'orizzonte del confronto, se così restano le cose, c'è solo un durissimo show down per decidere chi deve averla vinta tra le Forze dell'Ordine e i guerriglieri Valsusini fiancheggiati dagli antagonisti di tutta Italia. 
Un esito disastroso per tutti e che tutti dovremmo cercare di scongiurare. Che fare per riuscire a ricomporre dentro il perimetro della democrazia questo scontro? La prima cosa da fare sarebbe quello che finora non è stato mai fatto (perché?), cioè consultare i cittadini direttamente interessati, gli abitanti della Val Susa. Adriano Sofri ha avanzato una proposta su Repubblica del 3 marzo, una proposta che io condivido e che vi invito a leggere.

Non pochi si sono chiesti perché non organizzare qualcosa di simile a un referendum sulla Tav in Val di Susa. Io ci avevo pensato dopo aver scritto qui che la maggioranza degli abitanti della valle era contraria alla Tav. Questo mi sembrava di aver capito, e mi è stato obiettato che non sia così. 
Chiunque vede che se gli avversari della Tav in valle, e anzi nella stessa bassa valle, fossero una minoranza, le loro ragioni (e magari la loro ragione, perché anche la minoranza di uno può aver ragione) dovrebbero fare i conti con una condizione ben diversa da quella di una popolazione scavalcata e sfidata da decisioni altrui. Ieri una corrispondenza di Niccolò Zancan sulla Stampa si intitolava così: "Siamo una minoranza, ma abbiamo ragione".
Non so come stiano le cose, né quanto l'opposizione alla Tav si sia ridotta per la durezza presa dalla lotta e la dissociazione da attori e modi degli scontri. Ma consultare le persone non sarebbe un passo giusto, e utile a interrompere un corpo a corpo di cui qualcuno forse si compiace, ma dal quale senz'altro i più vorrebbero trovare il modo di uscire lealmente?
Non c'è la possibilità giuridica di ricorrere a un referendum che decida su un tema simile, se non sbaglio, e nemmeno l'eventualità politica. Il governo, benché giri ancora attorno al brutto affare, ha spalle abbastanza coperte dai partiti e dall'opinione media per tener duro sul "rispetto degli impegni assunti", i "lavori che vanno avanti", il "dialogo ma senza rimettere in discussione" eccetera. 
Ma governo, partiti e opinione pubblica non possono eludere il rischio immediato di un confronto di forza che costi un prezzo altissimo ora, e lasci a lungo un extraterritorio d'Italia in una situazione di esilio interno. Ho visto che l'idea di un referendum - diciamo, meno tecnicamente, di una consultazione popolare - evoca immediatamente la discussione su chi dovrebbe essere chiamato a pronunciarsi: dalla Valle, magari nemmeno tutta intera, fino a tutta l'Italia. 
Non è una difficoltà pretestuosa, se si trattasse di decidere: basta pensare a pretese separatiste e razziste che si immaginino legittimate da un consenso locale. Che una ferrovia o una strada o un ponte passino da un territorio non può essere affare riservato di quel territorio: peraltro succede spesso, e con una incomparabile condiscendenza dello Stato. Il quale, sia detto per inciso, perché il metodo delle comparazioni è fuorviante, ma qualcosa dice, è molto meno determinato a misurarsi con l'extraterritorialità mafiosa che con l'anarcoinsurrezionalismo vero o supposto.
E però proprio il carattere consultivo, qualcosa che somigli a un sondaggio reso serio e capillare dalla partecipazione volontaria, come in un'elezione primaria senza partiti, risolve, mi sembra, la questione di chi chiamare a pronunciarsi: i residenti della Valle, coloro di cui importa appurare oggi l'opinione e il sentimento.
Ammettiamo che governo e partiti nazionali non vedano di buon occhio una consultazione simile, per paura che ne emerga una volontà della maggioranza contraria alla loro: ma sono loro a dichiarare la convinzione opposta, e a negare che la gente della valle non sia stata ascoltata quanto occorreva.
Ammettiamo anche che il movimento No-Tav non veda di buon occhio la consultazione, per paura di uscirne in minoranza, ma sta di fatto che, a parte frasi volatili come quella riportata in un titolo di ieri, l'opposizione alla Tav fonda il proprio buon diritto sulla certezza di avere dalla sua la gente del posto. In una consultazione popolare, anche se solo simbolica - ma qui i simboli la fanno da padroni - si può vincere o perdere: però ci si è contati. 

Che obiezioni serie si potrebbero muovere a questa iniziativa? Che i militanti No-Tav non residenti nella valle si sono guadagnati il diritto a contare e essere contati come i loro compagni di lotta? Io non condivido affatto le deplorazioni contro quelli "venuti da fuori": le cose migliori, compresa la storia d'Italia, le hanno fatte quelli venuti da fuori. (Anche le peggiori: infatti).
Ma in una consultazione che voglia accertare che cosa pensi una popolazione su un progetto che investe il suo luogo è normale che il voto le sia riservato. Mi figuro già i buontemponi che, per reazione, suggerissero di far pronunciare anche poliziotti e carabinieri, l'altra faccia dei venuti da fuori.
All'indomani di un simile para-referendum, si completerebbe - e aggiornerebbe - la lista di informazioni che viene citata e sospinta di qua e di là: approvazioni governative, voti parlamentari, delibere regionali e provinciali e comunali. Si saprebbe anche che cosa ne pensano le persone della valle. Sarebbe un elemento in più, e non dei minori, per regolarsi. E intanto, si sarebbe forse data una tregua ai fronteggiamenti feroci. 

Nessun commento: