Le minacce e le aggressioni ai giornalisti in Italia sono diventate un titolo ricorrente nella cronaca quotidiana che nel 2011 ne ha contati ben 325. L'episodio accaduto di recente a Cinisello Balsamo che ha coinvolto due giornaliste del periodico "LaCittà" è solo uno degli ultimi.
Fino al 2006 fatti del genere erano rari e isolati, poi i mezzi di informazione hanno registrato il loro aumento e da quando l'osservatorio Ossigeno dell'Ordine dei Giornalisti ha cominciato a censirli e darne notizia si è visto che il fenomeno era molto più vasto di quel che sembrava.
Perché questa improvvisa aggressione nei confronti della professione, iniziata cinque anni fa, è cresciuta in modo esponenziale e oggi presenta le caratteristiche di una guerra dichiarata alla libera informazione?
Gli elementi nuovi rispetto al recente passato a mio avviso sono due: il numero dei giornalisti negli ultimi dieci anni è molto cresciuto e il loro campo di attività e di inchiesta sulla società (dopo Mani Pulite) si è molto allargato; contemporaneamente la qualità e il valore del lavoro giornalistico si sono molto degradati e impoveriti per via delle scelte degli editori.
Attualmente il numero dei giornalisti in Italia è di circa 60 mila lavoratori in attività, tra professionisti, pubblicisti e precari, ma il numero di questi ultimi è in continuo aumento perché il modello di produzione dei giornali ormai si basa sulla figura del collaboratore freelance che rappresenta più della metà dei giornalisti censiti. Una figura, quella del freelance che nel tempo è molto cambiata. 30 anni fa fare la libera professione in Italia voleva dire (come avviene ancora in Europa) guadagnare mediamente il 20% in più di un giornalista dipendente e, cosa molto gratificante, lavorare senza le restrizioni di tempo e di luogo che comportava l'assunzione in una redazione.
Il frelance degli anni 80 era ancora un libero produttore di informazione che sceglieva quasi sempre autonomamente i temi e le storie da proporre ai giornali con i quali collaborava. Oggi invece incarna la figura di un lavoratore povero perché precario e senza diritti che si deve accontentare di guadagnare meno della metà di un collega assunto in redazione e per di più assumendosi tutte le spese e i rischi di produzione.
E' proprio contro questa figura di cronista, radicato sul suo territorio, ma impoverito e debole perché poco o niente difeso da un editore e da una redazione che si limitano a pagarlo poco e male un tanto al pezzo, che si concentra l'attacco della criminalità mafiosa e non.
Per approfondire l'argomento vi segnalo l'ultima edizione dell'Osservatorio di Ossigeno.
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