mercoledì 21 dicembre 2011

Moai

4 commenti:

Gianni Rubagotti ha detto...

Domanda: siamo tutti d'accordo che per avere più occupazione in Italia dobbiamo copiare dai paesi dove c'è meno disoccupazione? E se sì: in quale di questi c'è l'articolo 18?

carlo arcari ha detto...

L'art.18 no ovviamente, ma in tutti i Paesi seri, dalla Germania alla Francia, ci sono norme che tutelano sempre il lavoratore dal licenziamento ingiustificato.
E' il caso della Germania dove è più difficile essere licenziati e si resta al lavoro finché il tribunale non convalida la cessazione del rapporto di lavoro. Chi lo perde poi ha diritto a un'indennità pubblica che può arrivare fino al 67% della retribuzione. La durata del sostegno varia a seconda dell'anzianità del dipendente, da 12 a 18 mensilità, i sussidi sono gestiti da un’autorità pubblica, l’Ufficio federale del lavoro. L'Unione Europea inoltre stabilisce che il lavoratore ha sempre diritto ed essere tutelato dal licenziamento senza giusta causa. Lo afferma l'art. 30 della Carta dei diritti fondamentali, resa fonte giuridicamente vincolante con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il principio enunciato in tale norma per cui "ogni lavoratore ha diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato" costituisce oggi parte integrante del diritto dell'UE.
L'art.18 è una norma di civiltà che non influisce sull'economia delle nostre aziende dal momento che il 95% delle imprese ha meno di 9 dipendenti, pertanto non è interessata a questa tutela. Chi afferma dunque che l'art. 18 frena le assunzioni nelle imprese perché ne irrigidisce la flessibilità è un bugiardo o un ignorante.
Fornero dice che l'art.18 è un totem e ha ragione. E' un totem, dietro al quale gli imprenditori italiani nascondono la loro incapacità.

favra ha detto...

pur confondendo un po' gli argomenti, credo che arcari abbia ragione; non capisco perchè governo e sindacati pongano l'articolo 18 al centro del dibattito sul mercato del lavoro; questa norma infatti tutela il lavoratore dal licenziamento per giusta causa, un tipo di licenziamento statisticamente poco rilevante e che non avrebbe pressochè nessun riverbero sulla competitività delle aziende italiane. in effetti credo che agli imprenditori italiani interesserebbe maggiormente di essere posti nelle medesime condizioni degli altri imprenditori europei in un altro campo: quello della possibilità di licenziare con maggior facilità, per esigenze produttive ed organizzative, una necessità che la depressione nella quala siamo invischiati ha riportato di grande attualità. infatti quello che oggi, molto spesso, trattiene l'imprenditore italiano, a differenza del suo omologo tedesco, dall'assumere del personale, di cui pure avrebbe la necessità, è la pressochè assoluta impossibilità di risolvere il rapporto, in caso di sopravvenute esigenze aziendali.inutile dire che questo, da un lato penalizza la competitività delle aziende italiane, dall'altro è una delle cause maggiori dei problemi di disoccupazione e di occupazione precaria di tanti lavoratori italiani. naturalmente la maggior "permeabilità" andrebbe compensta con l'introduzione di quei sostegni e ammortizzatori sociali che arcari citava a proposito della Germania.
tornando invece all'art.18, l' insofferenza di parte del mondo imprenditoriale italiano verso tale norma è probabilmente da ricercare nell'uso sconsiderato che la magistratura del lavoro ne ha fatto dalla sua entrata in vigore fino ad oggi; posto infatti che ogni lavoratore ha il diritto di essere tutelato contro i "capricci" del datore di lavoro, il pretore prima e il giudice del lavoro poi hanno dato del concetto di "giusta causa" un'interpretazione assurdamente restrittiva, finendo con il riconoscerne la sussistenza in pochissime eccezioni ( celebri, in questo senso, le ordinanze di reintegro per mancanza di giusta causa persino nel caso in cui il lavoratore si fosse reso colpevole di furto sul luogo di lavoro). non so come andrà a finire il dibattito intorno all'articolo 18, ma se dovesse davvero concludersi con la sua abrogazione, i magistrati del lavoro dovranno recitare il "mea culpa": per aver voluto tutelare "a prescindere" chi non lo meritava, avranno privato della tutela anche tutti quelli che ne avevano diritto.

un cordiale saluto
andrea favrin

Anonimo ha detto...

Ricordo che la nostra azienda ricorreva spesso alla cig, probabilmente era più facile ottenerla in passato o magari lo diventava con le conoscenze giuste. Tant'è che mentre molte persone erano messe a carico dello stato anche per anni, chi rimaneva doveva fare lo straordinario per fare fronte all'aumento di lavoro. Inutile dire che la cig forniva l'occasione per allontanare le persone indesiderate, generalmente appartenenti al consiglio di fabbrica. Delle vere e proprie casse punitive, per intenderci. Fortunatamente alla fine della cassa molti rientravano,ma alcuni cambiavano lavoro (a quel tempo era ancora possibile)e altri magari tornavano dimissionari dal cdf. Mi chiedo cosa sarebbe sarebbe potuto accadere a quei lavoratori se avessero avuto la possibilità di licenziare anche a quel tempo, prendendo a pretesto un'inesistente crisi. Ripensando a questi episodi del passato, oggi, purtroppo non mi sentirei di scommettere sulla buona fede di alcuni imprenditori. Mi pare comunque che fra le giuste cause vi sia incluso anche il furto, quando chiaramente sia dimostrabile.
M.R.