mercoledì 9 novembre 2011

Flexsecurity: in Lombardia si può fare come in Svezia

Pietro Ichino, giurista, ordinario di Diritto del lavoro alla Statale di Milano, senatore del Partito Democratico, membro della Commissione Lavoro, in un breve intervento per l’agenzia stampa Agenord, propone di sperimentare subito in Lombardia il progetto “Flexsecurity”, nuovo codice del lavoro per riformarne l’accesso.

E’ molto diffusa l’idea che il modello della flexsecurity sperimentato nei Paesi scandinavi non sia suscettibile di essere trapiantato in Italia, “perché quelli sono Paesi più piccoli e più ricchi”. Si dà il caso, invece, che la Lombardia abbia esattamente la stessa popolazione della Svezia ed esattamente lo stesso reddito pro capite. Lo stesso si può dire della Danimarca in riferimento al Piemonte, o all’Emilia Romagna, o al Veneto. Ora, dal 2001 ciascuna delle nostre Regioni ha una competenza legislativa e amministrativa piena in materia di servizi al mercato del lavoro; e il famoso articolo 8 del decreto-legge di Ferragosto consente la sperimentazione del modello flexsecurity anche a legislazione nazionale invariata, mediante la sola contrattazione collettiva (sono disponibili on line sul mio sito le bozze degli accordi regionali e aziendali con cui questo obiettivo potrebbe essere conseguito). Che cosa impedisce, dunque, che le confederazioni imprenditoriali e sindacali maggiori stipulino con una Regione un accordo-quadro regionale, che detti le guidelines per la contrattazione aziendale su questa materia impegnando la Regione stessa a coprire i costi dei servizi di outplacement e di riqualificazione professionale mirata, scelti dalle aziende che si avvarranno di questa possibilità? In Lombardia, in particolare, la sperimentazione di questo modello consentirebbe di attirare investimenti – soprattutto stranieri – di alta qualità, offrendo agli imprenditori un “codice del lavoro” semplice, allineato ai migliori standard nord-europei, anche per quel che riguarda la flessibilità in uscita nel caso in cui in futuro sia necessario un ridimensionamento o la chiusura. Ai lavoratori – e soprattutto ai più giovani, ai new entrants – si offrirebbe la prospettiva di un ingresso nel tessuto produttivo per la porta principale: tutti a tempo indeterminato, a tutti le protezioni essenziali, ma nessuno inamovibile; a chi perde il posto un sostegno economico robusto e un investimento sulla sua professionalità, in funzione della ricollocazione più rapida possibile. Insomma: un mercato più aperto agli investimenti che arrivano da fuori, nel quale l’aggiustamento industriale può avvenire in modo più fluido, senza i lunghi ritardi che oggi si impongono alle imprese e in condizioni di piena sicurezza per i lavoratori coinvolti. È evidente il vantaggio che ne deriverebbe per l’economia della nostra regione; ma è evidente anche il buon servizio che essa renderebbe al Paese facendo da apripista su questo terreno.                   
Pietro Ichino

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