lunedì 17 ottobre 2011

Indignati: dov'è la politica, dov'è la sinistra, dov'è il PD?

Sabato sera, scosso e amareggiato dalle violenze di Roma, ho scritto di getto un’invettiva contro il dilettantismo colpevole dei movimentisti che pretendono di opporsi alla potenza distruttiva della finanza globale, responsabile delle sofferenze di miliardi di esseri umani nei paesi più poveri, ma ormai anche in quelli ricchi, con la spontaneità “creativa” delle manifestazioni e con l'assenza evidentemente programmatica di un’organizzazione capace di garantirne la sicurezza.
Mi “indignava” il fatto che a vincere ancora una volta sulla ragione, anzi sulle ragioni dei molti, era stata la violenza di una minoranza di pochi che è riuscita con  le armi primordiali di Caino, sassi, bastoni e spranghe, a cancellare i motivi sacrosanti di una protesta e di una denuncia che ormai viene condivisa anche dai massimi esponenti della finanza italiana e internazionale come il presidente della BCE, Mario Draghi. 
Anch'egli infatti ammette che il disagio sociale provocato dalla logica dellla ricerca del massimo profitto, attuata ciecamente dal sistema economico e finanziario mondiale, è divenuto insostenibile e va combattuto con  le armi della politica prima che distrugga il pianeta.
Ho trovato in rete un commento molto puntuale sui fatti di Roma  pubblicato dal blog di Michele Sorice, docente di Comunicazione politica e Media Studies alla Università LUISS. Egli scrive:
Non possiamo però sottovalutare il disagio globale. Un disagio che diventa la protesta civile degli “Indignados” in Spagna o del movimento “Occupy” negli Stati Uniti; ma che può anche diventare, nelle situazioni di disperazione e marginalità, la violenza dei rioters  in Inghilterra o quella di movimenti ai margini della vita sociale ma non per questo meno pericolosi. Non possiamo sottovalutare il disagio che proviene da chi non riesce più a immaginare il proprio futuro. Quel 99% a cui oggi non è più permesso nemmeno sognare.
Il comunismo – che di sogni illusori ne aveva creati tanti – è crollato sotto il peso del suo fallimento. Bisognerà che capiamo (l’aveva intuito già Giovanni Paolo II) che anche il capitalismo – erettosi in ideologia – sta crollando. Il pianeta ha bisogno di un nuovo ordine: trasparente, condiviso, solidale. Non si tratta di inseguire i sogni di qualche pensatore utopico: qui siamo di fronte a una necessità storica.....
“Se siamo arrabbiati noi per la crisi, figuriamoci loro che sono giovani, che hanno venti o trent’anni e sono senza prospettive”. L’ha detto il presidente designato della BCE, il dr. Mario Draghi. Non certo il leader populista di un movimento antipolitico. Populismo e antipolitica. Eccoci finalmente alle parole chiave. L’Italia vive da troppo tempo una fase di populismo demagogico e distruttivo: quello di chi governa dicendo che il Parlamento è inutile, e quello di chi agita rivolte sul web dichiarando che “tanto sono tutti uguali”. Due facce della stessa medaglia: un pericoloso mix di populismo, neo-corporativismo, demagogia, antipolitica, estremismo rissoso.
Il professor Michele Sorice conclude così il suo commento: E’ in questi frangenti che si avverte la vertigine che provoca l’assenza della politica. Anzi della “Politica” con la P maiuscola....
Assenza di politica, ecco la malattia che si cela dietro ai sintomi che tutti possiamo osservare e che viviamo sulla nostra pelle. E questa assenza della politica, sabato scorso a Roma era palpabile. Perché a guidare, sostenere, difendere e fare propria la protesta e la denuncia degli “Indignati” italiani non c’erano le forze politiche? 
Quelle della destra populista e antipolitica impersonata da Berlusconi e Bossi di certo non potevano esserci perché sono quelle che proprio su questi disvalori e sulla degenerazione della società indotta dell’economia globalizzata hanno fondato le loro miserabili fortune, ma perché non c’era il PD dal momento che in tutti i suoi documenti e le sue mozioni proprio a questi soggetti sociali, giovani colti e preparati, costretti a sopravvivere in modo vergognoso da un sistema fondato sulla precarietà, dice di voler fare riferimento? Perché la sinistra italiana che su questo terreno della ristrutturazione sociale indotta dall’irrompere delle tecnologie digitali è in ritardo di 30 anni con riesce a recuperare il suo gap culturale?
Me lo chiedo oggi come me lo chiedevo nel settembre 1977 partecipando da protagonista al Convegno contro la Repressione di Bologna.  Anche allora, pur se in un altro contesto, una rivolta giovanile contro la crisi partita dalle università italiane i cui studenti si ribellavano al lavoro nero e alla precarietà che la fine del Taylorismo e dalle politiche della “piena occupazione” cominciavano a porre loro davanti come passaggio obbligato all'ingresso nel mondo del lavoro e della vita sociale, ebbero come risposta solo scontri, morti e violenza che portarono poi al terrorismo e alla cupa stagione delle notti e delle nebbie.
Anche allora la sinistra, in particolare il PCI, non capì le ragioni della prima generazione di giovani intellettuali usciti dalla università di massa e la qualità delle domande che ponevano ad un assetto sociale vecchio e superato. 
E’ il caso che la sinistra e in particolare il PD oggi si svegli alla svelta dal suo letargo intellettuale per non rischiare di ripetere gli stessi errori, se non vuole condannarsi questa volta e per sempre all’insignificanza e al fallimento definitivo. Per chi nel Partito Democratico ne volesse finalmente discutere segnalo anche il commento di  Peppino Caldarola sul suo blog Linkiesta.

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