La prima pagina del Corriere della Sera di oggi proietta l'immagine di un plotone di esecuzione in attesa del fatidico ordine “Fuoco”. Davanti alle bocche dei fucili il condannato a morte, Silvio Berlusconi, ha una benda sugli occhi e continua a recitare barzellette e contar balle al telefono per guadagnare tempo, come nel famoso spot della Sip.
Il titolo è: Il Governo sotto assedio. Ultimatum di Confindustria. Napolitano boccia la secessione. In apertura l’editoriale affidato a quell’intelligente reazionario di Sergio Romano che titola freddo: Una possibile soluzione, l’uscita di scena del premier. Nel testo egli invita Berlusconi “per salvare il Paese” a fare come Zapatero, annunciare la sua uscita di scena non candidandosi nel 2013, favorire un'intesa con le opposizioni per fare le riforme necessarie a tranquillizzare i mercati e consentire al suo partito di ricostruirsi attorno a un nuovo leader.
Romano gli dice quello che ormai tutta l’Italia che conta pensa da tempo: è finita, hai giocato la tua partita e hai perso, vai a centrocmapo, saluta spalti e tribune ed esci tra gli applausi liberatori bipartizan di tifosi e avversari. Così facendo dimostreresti di non essere un vecchio avventuriero megalomane e senza spessore politico, come affermano i tuoi detrattori, ma un uomo di Stato, che sa, quando è il momento, anteporre al suo privato, l’interesse del Paese che afferma di amare e che ha giurato di servire.
La soluzione proposta come possibile dall’ex ambasciatore Romano, un vecchio diplomatico servitore dello Stato, nelle condizioni date, appare purtroppo impossibile. Berlusconi non è uno statista e identifica tutto se stesso con l’Italia. Non è pertanto in grado di distinguere i diversi interessi, quello nazionale dal suo peronale, e soprattutto non si sognerebbe mai, anche se lo distinguesse, di mettere quello del Paese al primo posto.
Lo afferma sullo stesso Corriere, uno che lo conosce bene, Antonio Ricci, inventore di Striscia la notizia e prima di Drive in, cioè di quel deleterio e miserabile infotainement televisivo, fondamento della subcultura populista di massa che ha contribuito a modificare in trentanni di TV commerciale l’antropologia degli italiani. “Come tutti gli uomini che si sono fatti da sé – ha detto -, Berlusconi si disfarrà da sé. Tentare di farlo fuori in modo forzoso è un esercizio di stile. Deciderà lui come uscire di scena, con un guizzo da commediante“.
Ma Ricci è solo un miracolato da Berlusconi, uno dei tanti che senza di lui oggi “non sarebbe un cazzo” come elegantemente nota il ministro Calderoli. In Ricci il culto della personalità è un riflesso condizionato. La verità purtroppo è che a “far fuori Silvio” prima della scadenza elettorale e senza consentirgli altri trucchi da saltimbanco, non saranno i poteri sedicenti forti che siedono nel Consiglio di Amministrazione del Corriere della Sera, né i magistrati, tanto meno l’opposizione. Saranno i potenti veri, quelli che decideranno il destino dell’Italia all’interno della più grande partita che si sta giocando sul futuro dell’euro e dell’Unione Europea.
Il vecchio ragazzo dell’Isola Borsieri che ha voluto scalare il mondo partendo dalla sua ringhiera insieme agli amici d’infanzia, ed è finito miliardario ad Arcore a giocare al bunga bunga, potrebbe al massimo, se ne capisse la necessità, salvarci un po’ la faccia, uscendo di scena da commediante, ma dignitosamente. Potrebbe farlo, come Alberto Sordi nel film La Grande Guerra che si fa fucilare gridando "Sono un vigliacco", ma non tradisce il suo Paese. Berlusconi difficilmente lo farà, perché non ha la statura di Alberto Sordi.
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