domenica 10 luglio 2011

Seveso, quella calda estate di 35 anni fa

Sabato 10 luglio 1976, verso le 12,40, saltò la valvola del reattore B della Icmesa di Meda, società della multinazionale svizzera Givaudan, specializzata nella produzione di diserbanti a base di cloro. Si sprigionò una nube tossica gonfia di diossina che coinvolse molti comuni della Brianza. Il più colpito fu quello di Seveso.
Per alcuni giorni nessuno riuscì a capire di che sostanza si trattasse e, soprattutto, se era nociva. Solo la multinazionale proprietaria della Icmesa sapeva che era diossina, una sostanza cancerogena, ma la cosa venne risaputa solo 8 giorni dopo.  Subito si registrò una gran moria di animali domestici e sui giornali girarono le prime foto dei bambini colpiti da cloracne, tra cui le più note perché più fotografate furono le sorelle Stefania e Alice Senno di 2 e 4 anni: i lineamenti deformati da orrendi rigonfiamenti della pelle trasformano i loro volti innocenti e ancora oggi, a distanza di 35 anni, si portano addosso le cicatrici di quel disastro.
A fine luglio la zona venne presidiata dai militari e suddivisa in 3 aree. Gli sfollati furono 700.
Il danno economico enorme, soprattutto per i numerosi mobilifici della zona che interruppero il lavoro e vennero abbandonati. Il grave inquinamento industriale di Seveso provocò anche conflitti politici tra cattolici e laici sul tema dell’aborto terapeutico (in Parlamento era caduto il governo proprio sulla legge relativa all'interruzione di gravidanza) che i medici consigliarono alle donne incinte colpite dalla nube. 
Formigoni si fece un nome allora girando per gli oratori della Brianza. Lui e i suoi ciellini, contrarissimi all’aborto, negavano la pericolosità della sostanza tossica e per convincere i brianzoli avevano inventato una canzoncina che cantavano facendo il girotondo con i bambini, le cui parole dicevano pressappoco: “oh madonnina, oh madonnina, a Barlassina, abbiam sconfitto la diossina..”.
Il 23 maggio 1986, dieci anni dopo, ci fu la sentenza definitiva che condannò alcuni dirigenti dell'Icmesa a pene irrisorie. Nel 1980 il direttore della fabbrica, Paolo Paoletti, venne ucciso a Monza da un gruppo di terroristi di Prima Linea.  La fabbrica fu demolita e il terreno impregnato di diossina rimosso e le aree circostanti bonificate con sistemi che sollevano ancora oggi diversi dubbi, dopo quasi 3 decenni. Infinita la storia dei processi per il risarcimento del danno. La multinazionale svizzera ha finora risarcito la Regione Lombardia, diversi enti locali e una parte dei cittadini colpiti, costituitisi parte civile, ma alcune cause sono in corso a tutt'oggi, nel 2011.
Seveso passò alla storia anche per la legge europea che porta il suo nome. Nel 1982, la CEE approva la direttiva 82/501/CEE detta Seveso-1, in relazione ai rischi di incidenti industriali di una certa portata. In Italia, tale normativa venne recepita nel maggio del 1988. Tra i diversi obblighi previsti, quello del superamento del segreto industriale e l'estensione del campo di applicazione dei controlli. In particolare, la divisione in tre classi a seconda della quantità e della pericolosità delle sostanze utilizzate o prodotte.
Ma questo importante passo avanti non ha diminuito dopo due decenni i rischi per i lavoratori e la popolazione che vive vicino a certe fabbriche, come i tragici fatti della Eureco di Palazzolo dimostrano. Sono 10mila circa le aziende censite in Italia come “aziende a rischio di incidente rilevante”, ma il pericolo maggiore è rappresentato da quelle non censite oppure non definite “a rischio” da normative troppo elastiche e permissive, come appunto la Eureco. Aziende di piccole dimensioni a gestione spesso familiare, che sfuggono e si sottraggono ad ogni controllo a livello locale. Che, quando provocano incidenti, fanno in un attimo danni molto superiori ai benefici che producono.

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