“Se non apriamo a questi ragazzi nuove possibilità di occupazione e di vita dignitosa, nuove opportunità di affermazione sociale, la partita del futuro è persa non solo per loro, ma per tutti, per l'Italia : ed è in scacco la democrazia”.
Investire sui giovani, scommettere sui giovani, chiamarli a fare la propria parte e dare loro adeguate opportunità, questa la sfida che tutti abbiamo davanti. Facile da dire, difficile da fare. Purtroppo in Italia non ci sono in questo senso esempi virtuosi da seguire, modelli da imitare. Il nostro è storicamente un “paese per vecchi” dove i giovani hanno potuto salire sul ponte di comando solo in seguito a grandi traumi e improvvisi cambiamenti imposti dall’esterno. Se si esclude l’ultimo dopoguerra del secolo scorso che ha visto realizzarsi la modernizzazione forzata del paese grazie all’energia dei giovani reduci animati da fortissima voglia e speranza di crescita e sviluppo, non si conoscono altri esempi di turnover del potere. Meno che mai ci sono stati nella storia dello Stato unitario passaggi di mano gestiti e condivisi.
Il ’68, cioè l’unica rivolta generazionale che si sia mai verificata in Italia, era in realtà parte di un grande movimento sociale e culturale mondiale che da noi, a differenza che in altri paesi, è stato meno produttivo e positivo perché osteggiato, respinto e combattuto da chi allora gestiva il potere con estrema violenza e grande ottusità. Quel movimento originariamente libertario e progressista è stato sospinto in gran fretta, da destra e da sinistra, nelle trappole d’acciaio della guerra fredda e stritolato senza pietà dalle ideologie autoritarie del ‘900.
Ma allora la rivolta generazionale avveniva in un momento di crescita dell’economia italiana, di piena occupazione, di consumi affluenti. Oggi la rivolta avviene in uno scenario di totale recessione e di stagnazione dell’intera Europa che non cresce, ma declina. Insomma, mentre noi allora ci ribellavamo perché volevamo vivere in un mondo diverso, in una società più aperta, tollerante e moderna, ma non avevamo bisogni primari da rivendicare e soddisfare; lavoro, casa, reddito erano una realtà, oggi i giovani non possono contare su nessuna sicurezza, nessuna certezza. La loro è una rivolta per il pane e il companatico, cioè per ottenere un lavoro senza il quale non ci sono reddito, casa e futuro.
Che fare dunque per favorire questo grande passaggio di consegne? Forse potremmo ispirarci a esempi di successo del passato. Uno di questi modelli è il New Deal rooseveltiano: una serie di misure straordinarie che prevedevano l’intervento regolatorio dello stato nell’economia, il varo di grandi cantieri finalizzati alla costruzione di nuove infrastrutture strategiche, la concessione di diritti sindacali adeguati alla nuova stagione di relazioni industriali che si apriva, l’accordo stato-aziende per limitare la sovrapproduzione, eliminare il lavoro nero e minorile, la creazione di un welfare state più moderno, una riforma fiscale con aumento delle aliquote per i più ricchi, l'apertura alla sperimentazione economica, la fiducia garantita alla comunità scientifica e all'Università.
Come si vede l’unica ricetta vincente attuata da uno stato liberale nel secolo scorso si è basata sulla formula che vedeva la presenza di più Stato nell’economia nazionale, con più garanzie sociali e investimenti pubblici nell’innovazione e nelle nuove infrastrutture, con un forte e concreto sostegno alla scienza e allo sviluppo della ricerca. Mi sembra tutto il contrario di quanto si sta facendo oggi. A distanza di quasi 80 anni lo spirito del New Deal americano che, non dimentichiamolo, ha utilizzato per guidare la sua azione anche gli strumenti dell'inchiesta sociale e culturale affidandola a una nuova generazione di intellettuali, artisti, scrittori, fotografi e pittori, appare ancora attuale e innovativo per l’Italia. Che si tratti di definire in Italia un "Nuovo Patto" tra cittadini e Stato, tra pubblico e privato, tra giovani e anziani, mi sembra indispensabile se si vuol rispondere concretamente al “largo ai giovani” che il Presidente della Repubblica ci ha indicato.
2 commenti:
Io, sono fermamente convinto che, al di la dell'ormai conclamato "Reato" d'ingerenza, nelle attività del Circolo, da parte di Baldassarre, l'Amministrazione di Paderno, qualora l'uomo di cui sopra, si fosse comportato diversamente, avrebbe trovato un'altra scusa, per mettere la parola fine a questo centro, avendo un progetto di gestione diverso dall'attuale!
Flavio Mariani
Ho fato un pò di casino, il post sopra,si riferiva chiaramente alla discussione riguardante, il Falcone e Borsellino.
Un sincero saluto a Baldassarre.
Flavio Mariani
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