giovedì 14 ottobre 2010

Territorio: stop al consumo, mappare prima gli immobili sfitti

Il Parco Lago Nord di Paderno Dugnano in primavera
Il territorio è una risorsa inesauribile o un bene finito che non è più possibile sfruttare? A questa domanda è ora di dare una risposta razionale, politica ed economica. Partiamo dai numeri: negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli, sono stati asfaltati o cementificati. Tutte opere che erano necessarie per la nostra vita? Ovviamente no, basta guardarsi in giro anche a Paderno Dugnano, per vedere che sono migliaia i capannoni vuoti e le case sfitte. Il fenomeno è evidente soprattutto nelle località di vacanza il suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza, è stato lastricato da una pietra tombale fatta di (brutte in genere) seconde case, vuote per la maggior parte dell’anno, che una volta vendute smettono di produrre benefici per l'economia locale. Inoltre la cementificazione riscalda il pianeta, pone problemi enormi all’assetto idrogeologico (il Seveso e le sue piene devastanti sono un esempio vicino e visibile) e non reca alcun beneficio all’occupazione e alla qualità della vita dei cittadini. Reca benefici solo ai costruttori, ai proprietari delle aree e ai promotori immobiliari. Non reca più benefici nemmeno ai Comuni che dopo aver incassato gli oneri di urbanizzazione si ritrovano a dover risolvere problemi costosi che si mangiano i fondi incassati, perché oggi i servizi costano molto.
E' dall’urbanizzazione diffusa del Nord Milano, che nasce la Megalopoli, cioè la nuova “città infinita” che va da Malpensa a Orio al Serio, con svuotamento di ruolo e di identità di migliaia di città, paesi, centri storici, tutti ridotti a un’enorme periferia urbana perennemente assediata dal degrado ambientale.
Per fermare questa deriva autolesionista, che arricchisce pochi a spese di tutti è nato il movimento d’opinione che con la parola d’ordine “Stop al consumo di territorio” propone una strada sostenibile: indirizzare da qui in avanti l’industria edile verso il restauro, rottamazione e ricostruzione del patrimonio edilizio obsoleto o storico degradato sostituendo i vecchi edifici dismessi con le nuove costruzioni a impatto energetico zero che oggi si fanno in tutto il mondo, anche in Italia. Un processo virtuoso e praticabile che introduce elementi di alternativa all’attuale modello di società, alternativa che va indicata chiaramente a cittadini, legislatori, amministratori. Non si persegue la decrescita economica, ma un nuovo modello di sviluppo economico basato sulla qualità sul quale è necessario un dialogo e un confronto anche con il sistema delle costruzioni e dello sviluppo immobiliare che da tempo discute proprio di questo.
Tutte le ricerche internazionali, come ho già scritto dando notizia della classifica mondiale delle città più innovative, indicano che i pilastri dello sviluppo urbano di qualità sono, innovazione dell’architettura e rottamazione del degrado edilizio, sostenibilità ambientale delle costruzioni e delle infrastrutture, autostrade digitali e servizi tecnologici a imprese e cittadini, nuove infrastrutture per la produzione e il consumo culturale.
Ma se questa è la strategia di medio lungo periodo, nell’immediato cosa si può fare, da dove si può partire? Il movimento “Stop al consumo di territorio” propone di applicare una moratoria generale dei piani regolatori e delle lottizzazioni, in attesa che ciascun Comune faccia una precisa “mappatura” di case sfitte e capannoni vuoti e chiede alle amministrazioni locali di programmare la costruzione del nuovo esclusivamente su aree già urbanizzate, salvaguardando il patrimonio ambientale e storico del Paese.

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