venerdì 30 aprile 2010

Primo maggio 2010: non è una festa

Tristissimo questo primo maggio 2010. Una volta, non molti anni fa, era ancora "la festa del lavoro". Oggi, dopo anni di concerti dedicati a masse sempre più oceaniche di giovani disoccupati e precari, non lo è più. A marzo la disoccupazione nel nostro Paese è salita all'8,8%. Il numero dei senza lavoro è pari a 2,194 milioni in crescita di 58mila unità rispetto al mese precedente e del 12% (236 mila unità) rispetto a marzo 2009. Lo comunica l'Istat nella sua stima mensile. In particolare, a crescere è il numero di donne disoccupate, +4,8% su base mensile contro un incremento dello 0,9% per quella maschile. A marzo la disoccupazione giovanile (15-24 anni) si attesta a quota 27,7%. Cosa c’è rimsto da festeggiare? Ben poco. A Paderno Dugnano, dopo quelle ormai "storiche" di Lares e Metalli Preziosi, le ultime vittime del capitalismo straccione made in Italy sono gli operai della Nardi che lunedì mattina hanno scoperto di non avere più un lavoro perché il "padrone" li aveva depredati delle attrezzature e degli stampi durante il fine settimana. Quello che mi impressiona di più però non è tanto la cialtroneria di certi imprenditori, i loro modi da serial killer di posti di lavoro, ma il silenzio e la rassegnazione degli umili, dei lavoratori, che anno dopo anno si riscoprono proletari, ma resistono alla condizione, non ne vogliono prendere coscienza, ne hanno paura.

Per questo non combattono, subiscono il loro degrado senza reagire, mentre la disperazione monta e si estende, tenuta blandamente bada dalla famiglia e da quel po’ di ammortizzatori sociali e di welfare melmoso che in qualche modo il governo riesce a distribuire.
 Il primo maggio al posto di fare le veglie di preghiera o di andare al concerto del sindacato dovremmo ribellarci, scendere in piazza, bloccare le autostrade del week end o almeno le superstrade dello shopping che portano ogni sabato e domenica milioni di drogati da carta di credito agli ipermercati e agli outlet a spararsi gli ultimi euro. Per gridare a questi ignari che siamo tutti nella stessa barca che sta affondando, che oggi tocca a noi, ma domani toccherà a loro perché il sistema è morto. Ma temo che questo non succederà domani. Capiterà forse quando meno ce lo aspettiamo, come sempre avviene. Nell'autunno del '68 una sera verso le nove stavo andando da Cinisello a Milano a prendere una ragazza con la mia 500, quando sul viale Fulvio Testi vengo bloccato all'improvviso da una marea di uomini urlanti in tuta bianca. Sembravano fantasmi che emergevano dal buio alla luce dei fari. Erano gli operai turnisti della Pirelli che avevano dato inizio a una rivolta che sarebbe passata alla storia. Io li guardavo e non capivo, mi chiedevo "ma che cosa vogliono questi, perchè occupano la strada a quest'ora, che c'entro io con il loro sciopero?". Era esploso l'autunno caldo. 
Se va avanti così e la crisi peggiora, come sembra, qualcosa in autunno esploderà di nuovo e, ancora una volta, ricomincerà a soffiare il vento del Nord. Per la sinistra è venuto il momento di rimettere le vele al vento.

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