venerdì 22 gennaio 2010

Giovani e Lavoro, la destra vuol tornare al passato

La destra di governo nel suo tentativo reazionario di “ritorno al futuro”, cioè di cambiare la storia tornando al passato, cerca di riportare l’Italia al clima e alla cultura del dopoguerra. Lo dimostra la recente proposta del vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, Giuliano Cazzola (uno dei tanti ex dirigenti della CGIL passati a Berlusconi), di rimandare i ragazzi in fabbrica a 15 anni eludendo l’obbligo scolastico che prevede tassativamente l’ingresso nel mondo del lavoro a 16 anni.  La proposta Cazzola, si basa sulla possibilità di equiparare un anno di apprendistato all’ultimo anno scolastico previsto dall’ordinamento attuale, affermando che questo passaggio lavorativo sarebbe per il giovane un percorso formativo più ricco e utile di quello scolastico. Che si tratta di un riflesso antistorico, nostalgico e appunto reazionario, mi appare evidente. Il mondo del lavoro e le fabbriche sono profondamente cambiati. Non esiste più l’operaio artigiano che insegna “l’arte” al ragazzino sul posto di lavoro. Questa immagine è appunto una sbiadita fotografia degli anni 50 che solo un professore “laburista”, che non è mai entrato in una fabbrica a guadagnarsi il pane, può riproporre. Io che ho iniziato a lavorare a 15 anni nel 1961 lo so bene e parlo con cognizione di causa.
L’apprendistato degli anni 60 non era l’alternativa alla scuola, anzi ne era un complemento dal momento che le tecniche che ci venivano insegnate a scuola erano più avanzate di quelle che praticavamo in fabbrica. Nei 3 anni in cui io ho lavorato alla Rizzoli come tipografo sono stato obbligato a frequentare i corsi serali dell’Istituto Rizzoli di Arti Grafiche, cosa che allungava il mio orario di lavoro di due ore, dalle 18.30 alle 20.30. Grazie a questa formazione all’età di 18 anni avevo diritto a diventare operaio specializzato di terza categoria e a passare di seconda a 20 anni, prima di andare a militare. Già allora del resto, per diventare dei bravi operai ci voleva un serio percorso professionale e infatti anche la scuola di allora lo prevedeva proponendo corsi di specializzazione professionale di due anni (le cosiddette Tecniche) aggiuntivi ai tre anni di Avviamento al Lavoro, poi divenuto media unificata.
Purtroppo negli ultimi 30 anni in Italia la formazione professionale fornita dagli istituti statali è stata trascurata e oggi offre la migliore qualità quasi solo nelle scuole cattoliche come quella dei salesiani di Sesto San Giovanni che l’hanno “inventata” più di 50 anni fa, insieme e per le aziende storiche di quella zona Falck, Breda Magneti Marelli e la continuano a dare con degli standard altissimi, in laboratori moderni, con collaborazioni molto qualificate.
Perché al posto di cercare delle improbabili scorciatoie il governo non si impegna ad aumentare la qualità nelle scuole professionali statali offrendo ai giovani, oltre alla preparazione tecnica, anche un minimo di cultura di base? Erano molti i giovani che, anche 40 anni fa, alla fine delle “tecniche”, decidevano di iscriversi al terzo anno di un Istituto Tecnico e poi magari andare all’Università, rientrando così dalla finestra in un percorso di autovalorizzazione che non avevano saputo (per immaturità o impossiblità economica) imboccare dalla porta principale.

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