lunedì 21 dicembre 2009

ARBEIT MACHT FREI, la memoria rubata

La polizia polacca ha arrestato i ladri e recuperato la scritta "ARBEIT MACHT FREI" (il lavoro rende liberi) che campeggiava sopra l’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz. Si tratta di cinque uomini di età compresa tra i 20 e i 39 anni. La famosa scritta, lunga 5 metri, forgiata dai prigionieri per ordine dei nazisti, era stata rubata venerdì scorso ed è stata divisa dai ladri in tre parti. Probabilmente il furto è stato fatto per tentare di vendere il cimelio a qualche collezionista. La scritta era il simbolo della macabra, criminale ironia dei nazisti che mentivano ai prigionieri per nascondere la realtà del campo nel quale il “lavoro” era riservato ai pochi che non venivano subito uccisi. I bambini, gli anziani e i malati, infatti, venivano immediatamente inviati alle camere a gas appena scesi dai treni che li avevano trasportati ad Auschwitz da tutta Europa. Ebrei, zingari, omosessuali, prigionieri politici; nel campo ne vennero uccisi e bruciati nei forni crematori circa 1.100.000 persone.

Anche tra quei prigionieri destinati a lavorare come schiavi alla costruzione della fabbrica di gomma sintetica Buna, mai realizzata, la mortalità era altissima a causa della denutrizione del freddo e degli stenti. Una immortale testimonianza sul “lavoro” e sulla “libertà” di Auschwitz ci è stata lasciata in eredità dall'opera dello scrittore Primo Levi (Se questo è un uomo, La tregua), sopravvissuto al campo di sterminio, ma non ai fantasmi di quell’orrore. Primo Levi, che era scampato alla morte nel lager perché era giovane e forte, chimico di professione e conosceva un po’ di tedesco, morì suicida a Torino nell’aprile del 1987. Nel suo libro Levi così descrive la prima volta che vide quella scritta: “L’autocarro si è fermato e si è vista una grande porta, e sopra una scritta vivamente illuminata (il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni). ARBEIT MACH FREI, il lavoro rende liberi”.
La scritta era stata realizzata dal fabbro ebreo Lan Liwacz, numero di matricola 1010, anch’egli sopravvissuto al lager, aiutato da altri deportati. Durante la lavorazione come atto nascosto di protesta i prigionieri fissarono la B di “ARBEIT” all'incontrario, con l'occhiello più grande della lettera in alto invece che in basso.

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