“Non aborro assolutamente la socialdemocrazia. Anzi: se fossimo nel 1982, le direi che la ammiro. Ma siamo nel 2009: è un’esperienza storica che non ha alcuna possibilità di parlare ai contemporanei. Non ci sono più le fabbriche, i sindacati, le strutture sociali del Novecento”.
Francesco Rutelli, cofondatore del Partito Democratico ha così giustificato in un’intervista la sua uscita dal partito. Secondo lui l’anima socialdemocratica maggioritaria del PD non avrebbe più ragione di esistere perché: “Non ci sono più le fabbriche, i sindacati, le strutture sociali del Novecento”. Il mondo è cambiato, egli dice, la rivoluzione tecnologica ha trasformato profondamente il lavoro, il sindacato non è più quello forte e rappresentativo di 30 anni fa e la struttura della società italiana è diversa da quella che abbiamo conosciuto. Cose ovvie, dalle quali però Rutelli fa discendere la avvenuta liquidazione delle socialdemocrazie europee che sarebbero superate da… da che cosa? Qui non riesce a indicare.
Rutelli è ed è sempre stato un liberale, è nato radicale, liberista e libertario, poi è stato verde, poi si è reinventato cattolico. Quando afferma che nel 1982 avrebbe ammirato la nascita di un nuovo partito socialdemocratico italiano, mente sapendo di mentire perché nell’82 egli era lontano mille miglia da quella prospettiva: era infatti segretario del Partito Radicale, di cui è stato fino al 1988 anche tesoriere e Presidente del Gruppo parlamentare (radicale e federalista europeo) alla Camera dei Deputati.
Che se ne vada oggi da un PD che ha riaffermato con l’elezione di Bersani l’ancoraggio alla più forte delle sue radici riformiste, quella socialdemocratica, dimostra soltanto che la sua idea originaria di PD non ne teneva conto, la riteneva estinta.
Non era così. In Italia, un partito con una forte connotazione riformista di tipo europeo invece deve esistere, per il bene del Paese che ne ha bisogno e lo affermano 3 milioni di votanti alle “primarie”. Anche perché, con buona pace di Rutelli, essi sanno, noi sappiamo, che le fabbriche continuano ad esserci e gli operai pure, i sindacati rappresentano ancora milioni di lavoratori e le strutture sociali italiane, saranno pure cambiate, ma il conflitto tra ricchi e poveri, tra garantiti e non garantiti, tra capitale finanziario e lavoro, resta. Anzi, sta aumentando, di pari passo con le tensioni sociali che tale divario crescente provoca.
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