Il rapporto tra cittadini e politica è
un buco nero nel quale è precipitata 20 anni fa la nostra democrazia e
da allora non ne è più uscita. Il buco nero è la soggettività
irresistibile del "Io", liberato dall'imporsi del pensiero debole postmoderno che ha attratto
la materia viva della politica inghiottendola e lasciando al suo posto un vuoto riempito da populismi di ogni genere.
Prova ne sia che oggi ricominciare a
discutere ed agire in modo politico è quasi impossibile per
mancanza di interlocutori. E' un problema di linguaggio, si dice,
di forma della comunicazione, che limita la relazione tra politica e
cittadini e riduce a zero la partecipazione. "Bisogna
ripartire dall'aggregazione –
mi ha scritto con la sicurezza della giovinezza un amico al quale
chiedevo di impegnarsi insieme a me e altri per elaborare un nuovo
programma politico - ad esempio unendo aspetti ludici e
culturali per dare un’immagine del 'serio ma non troppo' che
strappi i cittadini dal torpore e dalla rassegnazione e che li spinga
ad interessarsi alla cosa pubblica".
Questa idea della partecipazione
politica recuperabile con il linguaggio della festa e
del divertimento, che viene percepita e affermata come nuova, in realtà è
antica ed è stata praticata anche in passato. Ma veniva allora perseguita sulla base di un pensiero forte, di
un progetto, di un programma i cui lineamenti venivano presentati
anche in forma ludica per essere meglio compresi da tutti. Insomma,
la "festa" la si faceva quando le idee e gli obiettivi erano stati definiti, discussi e condivisi a livello
politico, non prima.
Il problema che abbiamo davanti oggi è
un altro e ben più impegnativo. Dobbiamo costruire e discutere nuove idee
politiche, definire nuovi obiettivi da indicare ai
cittadini per coinvolgerli in un nuovo progetto di sviluppo della nostra
vita democratica.
Insomma prima le idee, l'elaborazione collettiva e il confronto politico, poi il
programma e la sua comunicazione. I tempi sono diversi e separati
perché non può avvenire tutto insieme. La
rivoluzione non è una conversazione su facebook.
Ma i giovani adulti di oggi faticano ad accettare il
fatto che lo studio e il pensiero vengono prima dell'azione.
Ripensando alla mia esperienza giovanile questa differenza
generazionale che rende impervio il dialogo, mi appare incolmabile.
Io sono stato attirato dalla politica nei primi anni 70 perché avevo
capito che solo attraverso la partecipazione politica potevo da
semplice cittadino valorizzare le mie idee e acquisire le competenze
necessarie per sviluppare la mia personalità, affermare la mia identità e dare un contributo originale alla società del mio tempo.
La politica per me è stata una scuola e un laboratorio di ricerca
dai quali sono uscito formato culturalmente e professionalmente.
Oggi i giovani rifiutano questo
approccio perché lo considerano troppo faticoso e poco "divertente"
e siccome guardano al mondo partendo dalle loro percezioni
soggettive, credono che inseguire i propri "vorrei" in modo
ludico, "serio ma non troppo", sia il modo nuovo e vincente di far
politica.
La teoria, frutto dello studio e
dell'esperienza sul campo, non serve. Il linguaggio della politica, nato dalla elaborazione pratica della teoria, è considerato troppo difficile, tecnico, da addetti ai lavori.
Ma senza teoria, un uomo è
come un sacco di plastica pieno di vento che, quando piove, finisce
nel fango, calpestato dai piedi dei consumatori che si spintonano per
entrare negli outlet a comprare i regali di Natale.
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