La manifestazione dei lavoratori delle aziende di telecomunicazioni e microelettronica in crisi della settimana scorsa sono il frutto bacato dell'assenza di politiche governative nel settore. Nel 2009, l’Italia, ha approfondito il suo ritardo tecnologico con gli altri paesi registrando un calo del mercato dell’informatica pari a -8,1%, a fronte di una decrescita media mondiale di -5,4%, e questo dato rivela l’immagine di un Paese, arretrato, ripiegato su se stesso che ha paura di investire e rischiare, che non riesce a guardare al suo futuro oltre l’emergenza. L’innovazione, strumento indispensabile per lo sviluppo, sembra sparita dal vocabolario di un governo che si conferma l’espressione politica e culturale di ceti sociali inadeguati a guidare il Paese perché troppo “piccoli” e tremebondi, privi di visione e di energie vitali. L’informatica con 400.000 addetti e 97.000 imprese, è il quarto settore industriale del Paese, ma il governo Berlusconi se ne disinteressa e il suo impatto economico e occupazionale, nonché le sue potenzialità nei processi di sviluppo sono largamente sottovalutati. Eppure, per uscire dalla crisi l’Italia non ha altra scelta che ricominciare a investire in tecnologie e software, computer e telecomunicazioni.
Che fare? Le imprese hanno proposto la rottamazione del software sia come misura di incentivo all’innovazione per il made in Italy, sia come sostegno all’occupazione dal momento che i software applicativi sono fattori cruciali per la modernizzazione delle aziende dell’economia, della Pubblica Amministrazione e costituiscono il cuore del valore aggiunto prodotto in Italia. Nella produzione di software, l’informatica italiana concentra la maggior parte della sua occupazione qualificata che, già provata dalla perdita di 16.000 posti di lavoro nel 2009, rischia nel 2010 di lasciare a casa altri 8.000 addetti. Ma questo governo di buoni a niente, capaci di tutto, non sembra interessato a governare il Paese. Mentre l'Italia arranca in fondo al gruppo e rischia di uscire dal Primo Mondo, l’unica cosa che sta a cuore ai nostri “uomini del fare” è continuare ad occupare le stanze del potere.
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