2) Il ricevimento all'Hotel Arbat era in
un locale di cui in Italia non esistono esempi. Una enorme sala da
pranzo con un centinaio di tavoli separati da una sala da ballo che
finiva con una capiente pedana sulla quale trovavano posto l'orchestra
e delle attrezzature da circo utilizzate da ballerini acrobati che
alternavano i loro numeri di ginnastica artistica accompagnati dalla
musica a ballo moderno con pezzi che mescolavano sonorità
tipicamente russe al rock più scatenato alternati da cantanti che
si esibivano in canzoni della malavita molto popolari.
Questo ce lo hanno spiegato in inglese
delle studentesse russe che avevamo invitato a ballare. Una
di loro si chiamava Slavina e mi spiegò che le canzoni erano state
scritte nel più classico stile russo da un attore famoso Vysotsky
e si ispiravano a quelle rabbiose dei malavitosi. La gente le amava.
Dicevano cose come "potete tagliarmi i polsi, ma non tagliate le
corde della mia chitarra".
Il locale era strapieno e io stavo
spiegando a Slavina che vedevo molte somiglianze tra russi e italiani,
l'amore per la musica, il cibo, il vino, la voglia di divertirsi, le dicevo che
mi sembravano molto mediterranei più che nordici, ma proprio mentre
cercavo nel mio inglese improbabile di farmi capire scoppiò
d'improvviso una rissa tremenda a un tavolo vicino. Una decina di
energumeni ubriachi cominciarono a pestarsi di santa ragione
rovesciando poltroncine e tavoli mentre noi cercavamo di metterci in
salvo allontanandoci dall'epicentro del sisma come facevano gli altri
clienti. Per fortuna tutto finì con l'apparire di una squadra di
agenti della milizia armati di lunghi bastoni che ridussero in pochi
secondi gli ubriachi stesi come stracci sul pavimento e poi li
trascinarono fuori dalla sala mentre i camerieri rimettevano a posto.
Naturalmente l'orchestra non aveva mai smesso di suonare e la gente
di ballare. "Ecco, mi disse Slavina, questo è molto russo. Fate
così anche in Italia?". Ovviamente gli dissi di no e che forse
la differenza tra noi e loro era la vodka. Con il Brunello di
Montalcino non si diventava così violenti.
La mattina dopo decisi di vestirmi
bene, indossai il mio completo grigio manageriale di Canali e la
cravatta rossa di Trussardi (la foto è quella della prima puntata) perché con tutta la delegazione
confindustriale avremmo visitato la grande fabbrica modello
Proletariato Rosso ed era una visita ufficiale. Mentre mi vestivo
sullo schermo del televisore, saranno state le sette, una ragazza
snella bionda assolutamente russa, con un'attillata tuta di lycra e
un cerchietto tra i capelli iniziò gli esercizi di stretching
piegandosi senza sforzo con il naso a sfiorare le ginocchia e io
immaginai milioni di casalinghe e operaie sovietiche che a casa loro
tentavano di fare lo stesso in quel momento.
L'incontro della delegazione avvenne
nella hall della foresteria dei Vip e qui capitò un episodio
curioso. Mentre ci stavano presentando a Elena, la funzionaria del
ministero che ci avrebbe fatto da guida e interprete, questa come mi
vide fece un mezzo passettino indietro, si inchinò leggermente e cominciò
a presentarsi in modo molto formale. Mi aveva scambiato per un alto
burocrate del partito per via della mia tenuta da apparatchik.
L'equivoco fu presto chiarito, ma Elena, rimase imbarazzata con me
per tutta la mattinata.
La fabbrica era enorme e passando per i
reparti potemmo constatare che le tecnologie utilizzate per le
lavorazioni erano a livello delle nostre, inoltre
mescolavano macchine di fabbricazione russa con altre di provenienza
occidentale o giapponese, soprattutto robot. Ma gli operai nei
reparti non lavoravano tutti, c'erano delle squadre che giocavano a
carte o guardavano la tv che trasmetteva in continuo le sessioni
interminabili del Congresso del partito. Ci dissero che erano pause
previste dai ritmi di lavoro.
Il confronto tra produttori dell'est e
dell'ovest avvenne nell'ufficio del direttore il quale dopo aver
cercato di spiegare la nuova fase di trasformazione che stava
attraversando il sistema, Perestroika e Glasnost, concluse chiedendo:
"Il governo vuole che noi produttori impariamo da voi ad andare
sul mercato, ma come funziona il mercato? Come si fa ad andare sul
mercato? Come si fa a stabilire un prezzo per i prodotti?".
La domanda era così inaspettata che
tutti gli imprenditori italiani presenti si guardarono in faccia
straniti e imbarazzati. Poi il presidente dei costruttori italiani di
macchine utensili si sentì obbligato a rispondere in modo
altrettanto diretto. "Lei produce torni e altre macchine che sul
mercato internazionale a parità di prestazioni offrono prezzi
diversi a seconda delle caratteristiche più o meno innovative che
presentano. Il prezzo medio di queste è quello di mercato. Il suo
guadagno è il ricavato delle vendite detratte le spese e i costi di
produzione, cioè materie prime, costo del lavoro, progettazione,
ricerca e sviluppo, produzione e assemblaggio dei componenti,
distribuzione e marketing. A fine anno farà un bilancio del conto
economico di esercizio e calcolerà il suo utile netto".
Il direttore rispose: "Si, ma io
come faccio a stabilire tutto questo se finora ho dovuto lavorare
rispettando quote di produzione calcolate non in pezzi, ma in
tonnellate. Il ministero mi fornisce tutto quello di cui io avrei in
teoria bisogno per realizzare la quota e in cambio io devo consegnare
alla data prevista il prodotto in peso, perciò verso la fine
dell'anno per rispettare la quota le macchine pesano il 20-30% in
più. Inoltre non tutto quello che mi serve per produrre arriva. Al
posto della lamiera ricevo tondini o ingranaggi e io mi devo
arrangiare con il baratto, telefonare in giro per chiedere se a
qualcuno che ha lamiera in più servono ingranaggi".
Il dialogo era sempre più surreale e
gli italiani sempre più sbalorditi e solidali con il collega russo
cercavano di capire qualcosa. "Ma almeno il costo del lavoro
quello riuscirà a stabilirlo?". Niente, il direttore ammetteva
di non sapere con precisione il numero dei suoi dipendenti che
dovevano essere circa 20 o 22mila perché non c'era un sistema di
controllo delle presenze paragonabile a quello in uso da noi. E certo
se non puoi stabilire il costo del lavoro, se non hai quello delle
materie prime e dei componenti era difficile fare un prezzo e andare
con questo a conquistare un mercato. "E a fine anno come fate
con il bilancio?". La risposta incredibile fu. "Niente, si
tira una riga e si ricomincia a gennaio da zero".
Lasciammo il povero direttore alle
prese con la sua improbabile Perestrojka e tornammo in albergo a
riposare un po' e poi andare in giro a vedere Mosca. Il mio obiettivo
era la grande Biblioteca Lenin che era molto vicina all'albergo, un
complesso di edifici che occupa la parte meridionale del corso Marx.
L'edificio più famoso è senz'altro il palazzo Paskov, costruito nel
1784-86 da V. I. Bazenov. Dopo aver ospitato collezioni d'arte, nel
1924 fu creata la Biblioteca di Stato Lenin: al giorno d'oggi
possiede 23 sale di lettura ed è ricca di manoscritti di
artisti e personaggi storici, codici miniati e libri rari.
Mi ritrovai ad ammirare dall'alto di
una balaustra una delle più grandi sale di lettura che avevo mai
visto: sotto di me centinaia di posti di studio di quelli con la
saracinesca di legno e la lampada d'ottone col paralume verde.
Invidiai quei giovani che potevano studiare in un posto così bello e
ricco.
Conclusi la serata visitando la
metropolitana di Mosca, un'altra meraviglia russa,
entrando dalla stazione vicina ai Magazzini Gum. Ingresso 5 copechi.
La scala mobile che portava alle gallerie aveva ancora i gradini di
legno e scendeva per 200 metri nel sottosuolo. I corridoi della
stazione avevano pavimenti in marmo, enormi lampadari di
cristallo, stucchi e mosaici alle pareti che illustravano episodi
della rivoluzione. C'erano anche statue dorate di soldati, operai,
marinai rivoluzionari a grandezza naturale.
La sera cena organizzata in un
ristorante georgiano dalla nostra interprete Natasha che aveva
portato due sue amiche. Mangiammo finalmente alla russa, un pasticcio
di carne, funghi e patate molto buono, vino rosso forte e cercammo di
fare amicizia con le ragazze che sembravano molto interessate a noi
tre. Ma io ero stanco inoltre la fanciulla che mi stava vicino
continuava a chiedermi se avevo delle magliette italiane, (evidentemente lo facevano tutti quando andavano in Russia) e io non ne
avevo. Lei era molto interessata a Dolce e Gabbana, indossava una maglietta sponsorizzata Gelati Sanson. Chissà da chi
l'aveva avuta e in cambio di cosa.
(Continua)
1 commento:
Caro Carlo,leggo il Tuo blog e gli altri due significativi di Paderno,ormai per abitudine,ma aspetto, direi con ansia,il reportage del Tuo viaggio in Russia nel 1989 che spero si prolunghi per molte puntate.Come la penso sul Tuo stile lo sai e non voglio ripetermi.Ma mi piacerebbe che Ti venisse voglia di scrivere un romanzo di formazione.Manzoni scriveva per i suoi venti lettori fallo anche Tu.
pierino favrin
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