domenica 29 giugno 2014

50 copechi per ricordare che l'Armata Rossa non è uno scherzo


4) Il problema del cibo cominciava a diventare pressante. Mosca era una bella città e l'albergo che ci ospitava aveva ben 4 ristoranti, ma quella sera, tornato dalla visita al collega Rossi, io e i miei due amici ci ponemmo la fatale domanda: "dove si mangia"? Fino a quel momento ce l'eravamo cavata, ospiti di questo o quel ricevimento ufficiale avevamo sfruttato il catering e la prima sera ci eravamo imbucati nel ristorante dove si pagava in dollari grazie alla liberalità del nostro PR, Federico" che aveva quasi esaurito il suo fondo spese per pagare il conto.
Ci decidemmo a provare i servizi di ristorazione dell'Intourist. Io ero il meno schizzinoso ed ero pronto ad assaggiare tutto per pura curiosità. L'unico ristorante che trovammo aperto aveva l'aspetto di una specie di mensa aziendale e la cena costava pochi copechi, neanche 1.000 lire avevamo calcolato al cambio "nero" che ci aveva praticato il giorno prima un tassista.
Scrutammo i piatti con grande curiosità perché non era facile, minestre e zuppe escluse, capire di cosa in effetti si trattava. Andai sul sicuro con una minestra di cavoli e patate, buona, ma davanti al secondo rimasi interdetto. Si presentava come una specie di spezzatino coperto da un sugo rossastro. Sperando si trattasse di carne lo misi sul vassoio e me lo portai al tavolo.
Non era carne ovviamente, ma un mix di pesce e verdura, pieno di spine che pazientemente estrassi una ad una con tecniche chirurgiche. "Non possiamo andare avanti così per i tre giorni che ci restano - osservò alla  fine del magro pasto il giovane Meletti, che appariva il più denutrito di noi – Tu fortunato hai gustato oggi la cucina casalinga di Rossi, ma noi ci siamo dovuti arrangiare con i soliti tramezzini e le polpettine dello stand Fiat. Dobbiamo trovare almeno un pasto decente per domani".
Ci risollevò il morale l'amico Stainer che ebbe un'idea brillante. "Proviamo con quelli di Coeclerici". La famosa società di brokeraggio di materie prime (carbone, acciaio, ecc), fondata nel 1895 dal genovese Alfonso Clerici e dallo scozzese Henry Coe, in Russia era una potenza. Lavorava a Mosca fin dai tempi di Lenin (il figlio del fondatore Jack Clerici era amico personale del leader comunista) e l'azienda era uno dei clienti più prestigiosi dell'agenzia (di origine genovese, Barabino & Partner) di Federico (nella foto a fianco). 
Decise così di proporre loro un'intervista collettiva con due famosi giornalisti italiani (noi) in cambio di un invito a pranzo. Andò tutto bene, i manager dell'azienda italiana risposero "Con piacere" e fissammo l'appuntamento per il giorno dopo. Ci avrebbero portati in campagna fuori Mosca dove avevano una dacia che funzionava da foresteria per i loro dirigenti.
La mattina, fuori dall'albergo, ci aspettavano due mercedes sfavillanti con aria condizionata e interni lussuosi, perché i grandi imprenditori stranieri residenti non usavano certo le Zigulì anche se erano italiani (il loro autista russo però ci confermò che quando parcheggiava all'esterno anche lui i tergicristalli li smontava).
Partimmo così in una splendida mattina di giugno, sole caldo e cielo azzurro, per la verde campagna che circonda Mosca e ci avviammo dopo aver lasciato la città per strade secondarie circondate da campi verdi, boschetti, canali e laghetti sui quali volavano molte anatre e altri uccelli; un ambiente bellissimo e molto rilassante.
Ci stavamo godendo il viaggio in quella campagna sulla strada deserta (l'unico traffico stradale eravamo noi) quando ad un tratto la mercedes che stava davanti si fermò. In mezzo alla carreggiata c'era di traverso una moto con sidecar e piantato davanti con il suo bel Kalashnikov a tracolla un miliziano che con la mano alzata ci aveva intimato l'alt.
L'autista della vettura di testa stava già parlando animatamente col militare mentre noi ci chiedevamo che cosa stesse succedendo. "Vuoi vedere che salta il pranzetto" pensammo subito preoccupati guardandoci negli occhi. Ma la cosa era più semplice. Il milite ci aveva contestato una violazione del codice della strada, eccesso di velocità e voleva da noi 50 copechi per la contravvenzione. 
Una scemenza che però chissà perché offese mortalmente i manager della Coeclerici ai quali evidentemente non era mai accaduto di prendere una multa. Cominciaro subito a protestare tra loro e dire che era una scusa per estorcerci qualche dollaro e pensarono di mettere in difficoltà il soldato chiedendogli di spiegare come aveva fatto a calcolare la nostra velocità e stabilire che avevamo superato il limite di 50 all'ora su quella strada deserta.
E qui il miliziano che evidentemente era un burlone e aveva deciso di farci un bello scherzo sorrise a 32 denti e ficcando una mano nel suo scassato sidecar ci mise sotto il naso un oggetto nero, di acciaio e plastica, dall'aspetto alieno,  dotato di una specie di obiettivo e un visore a led arancioni.
Era un sistema di puntamento laser per armi anticarro che rilevava istantaneamente la velocità del bersaglio. Il soldato ci mostro sorridente e divertito come funzionava e ci lasciò tutti con un palmo di naso facendoci fare la figura dei coglioni.
Semplicemente ci eravamo dimenticati che se nel 1989 l'Urss non era in grado di dotare il popolo di lavatrici funzionanti l'Armata Rossa non aveva certo questi problemi e la seconda grande potenza del mondo era ancora una concreta realtà militare sostenuta da una forte base tecnologica. Pagammo la multa e finalmente arrivammo un po' mogi a destinazione dove la bellezza del luogo e soprattutto la tavola imbandita ci fecero dimenticare l'incidente e l'offesa al nostro orgoglio di paese hi tech.
In tavola trovammo infatti tutto il meglio della cucina russa tradizionale: blini (sorta di crespelle salate) con panna acida, caviale e salmone, vatruski, pasticci di ricotta, carne e pesce, verdura, funghi alla brace, sottaceti di ogni tipo, e infine il piatto forte, cavolo cappuccio ripieno di carne. 
Pasteggiammo con un Riesling russo davvero ottimo e qualche ora dopo satolli e felici (dopo avere fatto una specie di intervista ai nostri anfitrioni di cui non ho ricordi significativi) ritornammo in albergo dove finimmo al night per chiudere in bellezza la giornata.
Il giorno dopo saremmo andati a visitare il mausoleo di Lenin e ci sentivamo pronti ad affrontare il mito.
(Continua)

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