Il fallimento del PD, evidenziato dal tradimento dei vertici delle speranze della base, deriva tutto o in gran parte da questo peccato originale che è antropologico e culturale prima che politico e ideale. La composizione sociale del partito democratico, dalla sua nascita a oggi, è molto cambiata rispetto a quella delle forze politiche precedenti, soprattutto del PCI. Il proletariato industriale è stato sostituito dal precariato intellettuale di massa, ma questo nuovo soggetto sociale è stato rimosso e negato da un ceto politico dirigente che non riconoscendosi in esso non lo rappresenta e non lo vuole rappresentare.
"Chi Troppo, chi
Niente", il nuovo libro di Emanuele Ferragina, giovane docente di
politiche sociali espatriato in Inghilterra, tenta di rispondere concretamente a questa contraddizione proponendo una nuova visione del conflitto principale prodotto dalla nuova società diseguale. E' un viaggio
nell’Italia che paga ogni giorno il peso delle disuguaglianze,
un’analisi numeri alla mano di un progetto politico. Un progetto
complessivo che convince le menti razionali e scalda i cuori di chi
vuole tornare a fare politica.
Il libro illustra: (1) come le
disuguaglianze deprimano l’economia e scalfiscano la coesione
sociale; (2) cinque aree da cui partire per riformare il paese; (3)
da dove prendere i soldi per avviare ‘l’agenda dell’uguaglianza’;
(4) l’esistenza di una ‘coalizione maggioritaria di elettori’
che avrebbero tutto l’interesse a sposare questo progetto.
Primo, le
disuguaglianze hanno raggiunto un livello intollerabile:
- siamo il secondo paese più diseguale d’Europa (dopo il Portogallo) e quello con la più bassa mobilità sociale;
- il 10% delle famiglie più ricche possiede il 27% del reddito ed il 40% della ricchezza nazionale;
- i 10 italiani più ricchi possiedono quanto i tre milioni più poveri;
- la tassazione sulla ricchezza e’ bassissima, quella sul reddito da lavoro insostenibile;
- la distribuzione della ricchezza negli ultimi 20 anni è cambiata drasticamente favorendo solo alcuni gruppi. Si è spostata dai giovani agli anziani, dagli operai ai dirigenti.
Terzo, solo
ridistribuendo con coraggio la tassazione, cioè colpendo le ricche
pensioni di anzianità e intervenendo con decisione sui patrimoni e
le rendite finanziarie, si può mettere in cantiere il programma di
riforme che propongo. Basta con la tassazione altissima sul reddito
da lavoro e sulle imprese che innovano; riduciamo invece gli
eccessivi benefici concessi dal welfare a pochi cittadini fortunati e
tassiamo di più le rendite spropositate che non contribuiscono a far
crescere la produttività del paese.
Quarto, esiste
una “coalizione potenziale” da 25 milioni di votanti (più
del 50% per cento degli elettori) che avrebbe tutto l’interesse a
sposare “l’agenda per l’uguaglianza”:
- i pensionati che guadagnano meno di mille euro al mese;
- i disoccupati, i lavoratori precari e i lavoratori in nero;
- chi guadagna meno di 1200 euro al mese.
Una coalizione
maggioritaria che non esiste solo in Italia ma anche in altri grandi
paesi Europei. L’agenda redistributiva potrebbe diventare, con vari
correttivi nazionali, un programma a livello continentale per
federare tutte le forze progressiste, partendo da chi oggi è più
debole.
L'autore si chiede
perché i partiti progressisti e i sindacati non parlano più a
queste categorie e si limitano a difendere chi un lavoro ce
l’ha. Occorre ricominciare a farlo. Come scriveva George
Orwell “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali
degli altri”, non possiamo più permettercelo.
1 commento:
Come prevedibile non condivido già le premesse di quello che sarà lo svolgimento delle tesi,ma siccome ho trovato spunti interessanti e condivisibili anche nel difficilissimo Capitale di Marx,lo acquisterò e lo leggerò con attenzione.
pierino favrin
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