domenica 10 febbraio 2013

Monti, il borghese riformista immaginario

Mario Monti ha presentato oggi a Milano la sua idea di centralità e dichiarato la sua vera identità politica, culturale e sociale.
Non è stata una sorpresa. Il profilo di questa identità, infatti, è quello di una borghesia italiana più immaginaria ed auspicabile che reale, più evocata che disponibile qui e ora. Un'identità, del resto, che non è mai stata centrale nella storia della nostra Repubblica se non forse in qualche momento del dopoguerra e non lo è adesso dal momento che l'ombra di Montezemolo, dietro la sagoma del professore, resta appunto sfuggente. 
Non è un caso se nel suo discorso trasmesso in diretta dal Corriere.it il professore ha citato come unica figura di riferimento quella di Alcide De Gasperi, un leader democratico, cristiano e borghese che i democristiani populisti di allora (Fanfani, Rumor, Moro, Cossiga) si affrettarono a far fuori e mettere da parte non appena possibile.
Mario Monti nel suo discorso si è definito un liberale deluso da Berlusconi, che ha ammesso di aver votato nel 1994, per impedire a Occhetto e alla sua "gioiosa macchina da guerra" di vincere le elezioni. Ma Berlusconi in ben tre governi non ha mai fatto nulla di liberale, ha sottolineato il professore, e oggi tenta di comprare i voti con i soldi degli italiani senza memoria.
Il Monti che oggi si candida a governare non prevede di fare alleanze dopo il voto con Berlusconi e Bersani, l'uno perché si è alleato con la Lega anti europea e promette condoni fiscali ed edilizi, restituzioni di tasse ed esenzioni contributive, insostenibili e ingiuste; l'altro perché si è alleato con Vendola e la CGIL, che vuol risolvere i problemi occupazionali e sociali con massicce iniezioni di soldi pubblici.
Berlusconi - ha detto- gli aveva proposto di guidare i moderati, ma lui ha risposto di no perché: "l'Italia non ha bisogno di più moderati, ma di più riformisti". 
Insomma Monti vorrebbe idealmente governare dal centro uno schieramento largo che vada da Alfano a Enrico Letta, lasciando fuori Berlusconi e Maroni da un lato, Fassina e Vendola dall'altro. 
Il Professore, che evidentemente aborre le ideologie, ha spiegato quale sarebbe la sua missione: "Mi piacerebbe aiutare a far superare anche in Europa la contrapposizione, che talvolta non aiuta, tra destra e sinistra". Non dice però come pensa di superare questa contrapposizione, che non è ideologica, ma molto reale e fondata, perché fatta di corposi e concreti interessi materiali. 
Questa appare la più evidente debolezza della sua ideologia anti ideologica. Rispondendo a una domanda sui giovani italiani, che egli ha descritto come privi di futuro perché stretti nella tenaglia emigrazione-criminalità, non è stato capace di fornire una risposta accettabile. La "Bella Italia" è il futuro, ha affermato, sostenendo che la penisola "non ha petrolio", stranamente dimenticando che la Basilicata ne produce 32 milioni di barili l'anno. La trasformazione del nostro patrimonio culturale, artistico, creativo, della nostra superiore qualità della vita, in un prodotto esportabile o vendibile qui sul posto, sarebbe secondo lui il domani dei nostri giovani.
Francamente, un po' poco, anzi, quasi niente. Al nostro Paese non basta il made in Italy per dar da mangiare e assicurare benessere a 60 milioni di cittadini e nessun turista o quasi viene in Italia per ammirare i Bronzi di Riace a Reggio Calabria. Se così non fosse, non avremmo i problemi che invece abbiamo. 
L'Italia ha bisogno di un'industria avanzata, che aveva e che non ha più per colpa di chi negli ultimi 25 anni ha governato il Paese, innalzando sugli scudi il feticcio delle piccole e medie imprese.  Il made in Italy della moda e del vino, senza le grandi industrie (che al tempo delle partecipazioni statali avevamo), microelettronica, informatica, chimica, farmaceutica, aerospazio, robotica, automobile, telecomunicazioni, non regge e non tiene in piedi l'Italia. Il capitalismo nazionale piccolo e subalterno di quello internazionale, non è in grado finanziariamente e culturalmente di sostenerle,  come il disastro di Taranto e il declino inarrestabile di Fiat dimostrano. Siamo il maggior consumatore di telefonini d'Europa, ma non ne produciamo neanche uno, grazie alla nostra poco capace industria privata.
Se vuole presentarsi come "il nuovo" il professor Monti deve tirare fuori qualcosa d'altro dal suo cappello. La torre di Pisa in miniatura non basta, nemmeno per zittire Berlusconi.  

6 commenti:

Anonimo ha detto...

"partecipazioni statali"; solo la parola fa venire i brividi e va respinta come un morbo maligno; perchè è proprio da lì che è partito il declino indutriale italiano; lo stato che inizia a mettere becco nella gestione della gloriosa "montecatini" (e la distrugge); i danni compiuti dall' IRI ovunque abbia messo mano, non ultimo l'affossamento di alfa romeo e il conseguente regalo a fiat (gentile omaggio del Prof. Prodi), e via dicendo.. la snia fibre che produce e commercializza il Rayon, l'olivetti (prima che DeBenedetti ne facesse scempio) che invade il mercato mondiale con la "divisumma 24" e il primo personal computer "programma 101": questi devono essere i modelli del rilancio; ognuno torni a svolgere la funzione sociale ed economica che gli compete: gli imprenditori investano su progetti e impianti ele banche finanzino i progetti solidi; lo stato (e la politica) smettano di invadere campi che sono loro estranei e tornino alle loro funzioni istituzionali: difesa ed ordine pubblico, sanità e walfere ed istruzione: ce n'è d'avanzo!
spero davvero che il professor Monti abbia in mente questo tipo di liberismo, perchè, tra la ricetta proposta dalla sinistra, coerente con il proprio pensiero ma profondamente sbagliata e il liberismo da commedia proposto da berlusconi, io non ho altra scelta che accordargli la mia fiducia; spero non sia mal riposta.

un cordiale saluto
andrea favrin

carlo arcari ha detto...

Caro Andrea, documentati meglio. L'Olivetti, prima di De Benedetti (1976), era un'azienda fallita. I modelli di rilancio che tu indichi, sono a disposizione dei privati da 20 anni e i risultati sono: l'Alitalia di Berlusconi e compari, la Telecom di Tronchetti Provera, le Autostrade di Benetton, la Ilva di Riva. tanto per citare alcuni monopoli statali privatizzati con i bei risultati che conosciamo.

Anonimo ha detto...

Caro Carlo, non mi metta in bocca parole che non ho detto; stavamo parlando di strategie per un possibile rilancio dell’economia italiana ed io, sentendola parlare di “partecipazione statale”, ho indicato degli esempi di eccellenza industriale privata italiana del passato contrapposti ad alcuni disastri compiuti dall’intervento dello stato in ambito industriale; quelli che indica lei sono esempi di quelle ridicole ( e finte) privatizzazioni a cui alludevo quando parlavo di “liberismo da commedia” : buone per lo stato per racimolare quattro soldi o per far contento qualche amico.
Quanto all’Olivetti, forse ho attribuito a De Benedetti più demeriti di quanti non ne abbia; comunque ancora fino alla fine degli anni 70, la casa di ivrea sfornava idee e progetti innovativi ; io non so lei, ma io tra casa e ufficio possiedo un paio di hewlett packard, un acer, un talet apple e un sistema IBM; di apparecchiature olivetti nemmano l’ombra!

carlo arcari ha detto...

Appunto, la privata Olivetti è finita come è finita, non certo per colpa dello Stato e delle odiate PPSS. O per te De Benedetti non è un imprenditore privato? Ho l'impressione che si tenda a dare la responsabilità di tutti nostri guai al "pubblico" anche quando questo non c'entra. Oggi le PPSS detengono il 100% o la quota di controllo di: Anas, Cinecittà, Enav,Eur, FFSS, Poste Italiane, Rai (95,5%), Sace, Sogei, Cassa dep e prest.(70%), Equitalia (51%). Il resto è tutto in mano ai privati da almeno 15 anni.

Anonimo ha detto...

parla sul serio? a parte l'assetto nominale, davvero considera l'olivetti degli anni ottanta una azienda privata, senza legami e ingerenze da parte del mondo politico? sarà meglio che ci intendiamo sui punti base, altrimenti non credo che questo scambio di opinioni approderà a qualcosa di costruttivo.

carlo arcari ha detto...

Va bene, intendiamoci. Se definiamo un'azienda "privata" solo se la proprietà non ha mai avuto nessuna relazione con la politica, allora in Italia non ce ne sono mai state. La nostra è sempre stata, dai tempi del fascismo e forse anche da prima, un'economia mista. Di che vogliamo parlare, Andrea, dei tuoi sogni o della realtà? Pensi davvero che Monti possa o voglia trasformare come tu speri l'Italia?