domenica 12 agosto 2012

La bolla di componenda

L'alta tensione di questi giorni, con il Quirinale trascinato nel gorgo di polemiche incandescenti sulla presunta volontà di Napolitano di coprire la trattativa che ci sarebbe stata tra Mafia e Stato al culmine della stagione stragista attuata da Cosa Nostra 20 anni fa, è la dimostrazione che non siamo ancora in grado di sopportare (e dunque di conoscere) certe verità.
La presunta trattativa tra Stato italiano e le cosche palermitane sarebbe stata una negoziazione avvenuta all'indomani della stagione delle bombe del '92 e '93 tra lo Stato italiano al fine di giungere ad un accordo che avrebbe previsto la fine dell'attacco mafioso in cambio di un'attenuazione delle misure detentive previste dall'Articolo 41 bis.
A questo oscuro mistero italiano, anzi siciliano, ho inevitabilmente pensato stamattina leggendo un libricino di Camilleri intitolato "La bolla di componenda" (Sellerio 1993). 108 paginette smilze nelle quali lo scrittore di Porto Emepdocle racconta di una singolare istituzione siciliana, la "componenda", appunto, da secoli la componente essenziale della storia del potere nell'isola: un compromesso, un accordo quasi esplicito tra i rappresentanti dello Stato e i poteri extralegali della mafia e del brigantaggio.
La pratica in Sicilia è secolare e secondo Camilleri, che per scrivere questo racconto, ha fatto su di essa un'approfondita indagine negli archivi di Stato, è stata introdotta dalla Chiesa che garantiva a chi pagando un obolo più o meno grande seconda la gravità del reato commesso, il diritto preventivo all'assoluzione. Di componenda si parla alla relativa voce nel "Dizionario storico della mafia", scritto da Gino Pallotta nel 1977, ma anche nelle 1.410 pagine dell'Inchiesta sulle condizioni economiche e sociali della Sicilia stesa dalla prima Commissione parlamentare d'inchiesta sull'argomento "mafia" nel 1875. Gli atti furono pubblicati nel 1968, sei anni dopo l'istituzione della seconda Commissione d'inchiesta sulla mafia i cui atti, pubblicati più velocemente nel 1978, appaiono sostanzialmente identici ai primi, quanto inutili.
Nel testo del 1875, della "perniciosa tradizione" della bolla di componenda, parlò il Tenente Generale Alessandro Avogadro di Casanova, comandante militare della Sicilia. Il generale, in soli due anni di permanenza nell'isola, aveva capito molte cose: 1) in Sicilia la mafia aveva operato una rivoluzione politica e sociale ottenendo un vasto consenso popolare espropriando di fatto i latifondisti e distribuendo parte del maltolto a "campieri, contadini, sovrastanti e braccianti". 2) la Magistratura non faceva o non poteva fare il proprio dovere anche perché ricattata o esposta a rappresaglie e violenze. 3) le suggestioni incessanti del clero condensate nella tradizione della bolla di componenda, cioè l'acquisto di assoluzioni preventive da parte del "peccatore", contribuivano a radicare una cultura contraria, alternativa allo Stato di diritto e dunque mafiosa.
Della bolla, completa di tariffe e relativi reati da "comporre" pagando un obolo, emanata dal Vescovo, il generale Casanova ne era venuto in possesso di una copia che spedì ai Commissari parlamentari. Peccato che dagli atti conservati nell'Archivio di Stato questa copia manchi.
Il libretto prosegue citando altri scritti e inchieste di diversi autori, siciliani e no, relativi al tema mafia e bolla di componenda. In conclusione l'autore riferisce di una conversazione al riguardo con l'amico Leonardo Sciascia al quale aveva chiesto aiuto per la ricerca bibliografica. Doveva assolutamente trovare una bolla originale per dare maggior credito a quanto aveva in mente di scrivere. Sciascia gli rispose sorridendo: "Tu una carta così non la troverai mai". E infatti Camilleri non l'ha ancora trovata. Probabilmente non la troveranno mai neanche gli inquirenti che indagano sulla presunta "componenda" tra Mafia e Stato

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