Oggi, quasi l'80% dei ragazzi tra i 13
e i 16 anni, e il 40% di quelli tra i 9 e i 12 hanno un profilo su un
social network. Ma a differenza degli adolescenti che appaiono
più consapevoli e capaci di riconoscere i rischi della relazione, di
conseguenza stanno più attenti a modificare i parametri per
proteggere i dati privati dei loro profili facebook, i bambini lo
sono molto meno.
Il dovere di difenderli per i genitori
è evidente, ma come fare questo senza ricorrere a divieti
(facilmente aggirabili) o decisioni draconiane (niente pc personale o
cellulare 3G) o a tentativi di controllo in rete con genitori che si
travestono da ragazzini per diventare amici online del loro figliolo
e controllarne le mosse sui social network? Questo interrogativo è
rimasto tale alla fine del dibattito seguito alla relazione di
Lorenzo Pivanti, psicologo e psicoterapeuta, invitato a Paderno
Dugnano dal Circolo Culturale Restare Umani che ha organizzato ieri
sera all'Auditorium Tilane il convegno "Adolescenti, genitori e
scuole nella RETE rischi e potenzialità di Internet".
Pivanti che ha presentato e illustrato
i dati di una ricerca realizzata su questo tema, non ha fornito a
genitori e insegnanti risposte o ricette, ma li ha invitati a
condividere con i giovani l'approccio al nuovo mondo digitale, a
imparare i nuovi linguaggi e mettersi in gioco senza arroccarsi su
posizioni di presunto sapere o peggio chiamarsi fuori dichiarando la
propria fiducia nei figli e nelle tecnologie, ma in realtà
disinteressandosi di quello che fanno i ragazzi sul web.
Insomma, secondo Pivanti, gli adulti
non devono tentare di recuperare il loro ruolo tradizionale in modo
autoritario rimuovendo l'impatto che l'innovazione ha già avuto sul
modo di comunicare e di vivere dei ragazzi oggi, né rinunciare a
quello classico di genitore, cioè di "mediatore" tra i
giovani e la vita reale, abdicando di fatto di fronte alla tecnologia.
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