giovedì 8 marzo 2012

Metropolis: sullo schermo le idi di Marzo a Rebibbia


Roma, carcere di Rebibbia. I detenuti di massima sicurezza recitano Shakespeare: all’interno del carcere, infatti, viene messo in scena un particolare allestimento del ‘Giulio Cesare’ in cui sentimenti e personaggi vivranno sulla scena con gli attori e nelle celle con i detenuti. Il “Giulio Cesare” sembra scritto proprio per persone come loro, che conoscono la violenza, che conoscono le regole della sopraffazione e l'ingiustizia del potere.
Il film è in programmazione in esclusiva per tutta la Provincia di Milano, all’Area Metropolis 2.0 fino al 14 marzo.
(Recensione di www.movieplayer.it)
Le ultime battute del Giulio Cesare di Shakespeare, rivisitato dai detenuti di Rebibbia con l'aiuto di Fabio Cavalli, attore e autore teatrale, direttore artistico del Centro Studi Enrico Maria Salerno, aprono la prima sequenza di "Cesare deve morire", ultimo lavoro dei fratelli Paolo Taviani e Vittorio Taviani, presentato in concorso al 62esimo Festival di Berlino, cinque anni dopo la loro ultima partecipazione alla kermesse tedesca con La masseria delle allodole. Dopo l'applauso convinto e commosso del pubblico, i riflettori tornano a riaccendersi sui protagonisti della rappresentazione, facendo un passo indietro, e seguendo il loro progetto dagli inizi, a cominciare dal casting, per poi proseguire con le prove e i confronti tra attori e regista. Se l'ultimo lavoro dei Taviani aveva lasciato l'amaro in bocca, soprattutto per la sua impostazione fortemente televisiva, con Cesare deve morire il duo di autori toscani tenta, in maniera convincente, la strada delladocu-fiction, per raccontare la genesi di un progetto interessante come quello di dare la possibilità ai detenuti di avvicinarsi all'arte tramite il teatro, e al tempo stesso dare spazio anche alla personalità e al vissuto di ognuno di loro, in un sovrapporsi continuo di prosa ed esperienze di vita reale.  

CESARE DEVE MORIRE
Regia di Vittorio e Paolo Taviani
Con Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca.
Area Metropolis 2.0

1 commento:

adriano tominetti ha detto...

martedì sera sono andato a vederlo e devo dire che ne sono stato contento. Molto bello e comunque commovente, recitato nel proprio dialetto ha dato ancor più risalto al luogo di recitazione che è il carcere. In sala era presente Fabio Cavalli a rispondere alle domande e a spiegare il lavoro fatto. Sono dieci anni che insegna teatro a Rebibbia e sempre e solo classici rielaborati per ogni personaggio nel proprio dialetto. Alcuni di loro, per esempio Striano che impersona Bruto, una volta uscito di carcere per fine pena è diventato attore professionista. Toccante l'ultima battuta del film " da quando ho conoscito il teatro questa cella è diventata una prigione". Ve lo consiglio vivamente. Adriano