Alla domanda sulla quale si finge di discutere da anni, basterebbe rispondere "no" perché come tutti ormai sanno, oltre il 94% delle imprese italiane ha meno di 9 dipendenti e dunque la tutela contro i licenziamenti individuali senza giusta causa interessa solo proprietari e dipendenti di una esigua fettina del sistema produttivo nazionale.
Ma alla stessa domanda ha risposto con altrettante chiarezza la Confindustria che nei giorni scorsi non si è per niente affannata a difendere l'uscita dell'incauta signora Fornero che, a suo dire, si era lasciata indurre dai capziosi giornalisti a parlare di abbattere il "totem laburista". E la risposta degli imprenditori è stata in sintesi: "abrogatelo pure, ma senza costi per le imprese". Insomma, se le riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali ci costano anche solo una lira in più, meglio non farle.
Il vicepresidente di Confindustria con delega alle relazioni industriali, Alberto Bombassei ha infatti dichiarato a "il Foglio": “Mi aspetto che ci venga proposta un’accurata revisione delle norme sulle forme di assunzione, per evitare fenomeni di abuso e situazioni di precarietà, ma anche per rivedere le regole per il licenziamento prevedendo, al tempo stesso, un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per facilitare la ricollocazione delle persone”.
Il vicepresidente di Confindustria con delega alle relazioni industriali, Alberto Bombassei ha infatti dichiarato a "il Foglio": “Mi aspetto che ci venga proposta un’accurata revisione delle norme sulle forme di assunzione, per evitare fenomeni di abuso e situazioni di precarietà, ma anche per rivedere le regole per il licenziamento prevedendo, al tempo stesso, un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per facilitare la ricollocazione delle persone”.
Bombassei, scrive il quotidiano di Ferrara, non svilisce il ruolo degli attuali ammortizzatori sociali, compresa la cassa integrazione, difesi anche dall’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: “E’ complesso modificare, anche solo in parte, un sistema di ammortizzatori che, anche nell’attuale crisi, ha saputo rispondere ad una esigenza primaria e cioè quella di non rompere il collegamento fra imprese in difficoltà e i loro dipendenti. Un sistema, lo ricordo ancora una volta, finanziato direttamente dalle imprese industriali”. Quindi non è d’accordo sull’introduzione di un reddito minimo garantito ipotizzato dall’esecutivo? “Non credo sia la soluzione. Certamente la riforma dovrebbe tendere all’universalizzazione delle tutele, ma sempre ispirandosi al principio assicurativo, ossia condizionando l’erogazione delle prestazioni al finanziamento da parte delle imprese, di tutte le imprese”.
Nonostante queste perplessità, Bombassei apprezza in linea di massima la proposta del senatore PD, Pietro Ichino, al quale si sta ispirando il tecnogoverno: “La logica europea della flexsecurity è senz’altro condivisibile. La tutela per il lavoratore deve concentrarsi sempre più sul mercato del lavoro e meno sul singolo posto di lavoro. L’aspetto meno definito nella proposta Ichino – spiega il vicepresidente di Confindustria – è proprio quello della esatta quantificazione degli oneri connessi alla riforma e ancor più all’esatta individuazione della ripartizione di questi oneri tra le imprese e il sistema pubblico. E’ evidente che i costi del sistema non possono essere sostenuti solo dalle imprese”.
Ma allora, se nemmeno a Confindustria che rappresenta le imprese sottoposte all'art. 18, la proposta di cambiarlo interessa davvero, a chi interessa tirare in ballo continuamente questo argomento "totemico" e buttarlo tra i piedi di chiunque si proponga di affrontare la materia? Perché, ci si chiede, il Corriere avrebbe, come ha sostenuto il ministro Fornero, preparato a suo danno "una trappola mediatica" sull'abrogazione del famoso articolo? Perché evidentemente qualcuno ha bisogno di far dimenticare il fatto che l'Italia è già il paese più flessibile d'Europa e che la flessibilità divenuta enorme negli ultimi 10 anni (falsi stage, contratti a tempo ridottissimo, paghe inferiori del 30-50%, condizioni di lavoro insostenibili) non produce occupazione, anzi, ne produce sempre meno come si evince da tutte le statistiche.
E chi sia il mandante di questa operazione mediatica è evidente: chi le riforme non le vuole fare perché non le vuole pagare. A questa "entità" che si chiama "Azienda Italia", cioè l'impresa diffusa e corporativa made in Italy, la mitica piccola e media impresa, le cose stanno benissimo così.
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