Il ’68 continua a fare paura ai borghesucci italiani che ancora dopo 40 anni se la fanno sotto al ricordo di quell’unica volta nella loro vita di “più uguali” in cui hanno dovuto fare i conti materialmente con una dura verità a loro estranea: l’odio di classe.
Quell’odio dichiarato nel ritornello della canzone sessantottina per eccellenza, “Contessa”, in cui si diceva loro, senza mezzi termini: “Voi gente perbene la pace cercate, la pace per far quello che voi volete, ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra, vogliamo vedervi finir sottoterra”.
Ed è la paura che questa pianticella dell’odio classista, quello dei poveri per i ricchi, degli operai per i padroni, dei proletari per i borghesi, dei non garantiti per i supergarantiti, abbia messo radici nell’orticello patrio e possa un giorno di questi rialzare il suo esile stelo dai solchi della società ingiusta e riaprire al sole le sue foglie giovani e forti, a spingerli a sotterrare sotto tonnellate di critiche e di sarcasmi i simboli di quel lontano movimento che ancora temono.
Deve proprio essere questa paura alimentata dallo spettro della lunga crisi sociale che ci attende ad agitare i loro sonni, altrimenti non si spiega il perché proprio oggi il “massmediologo” Aldo Grasso abbia sentito il bisogno di dedicare un commento sprezzante, populista (e rassicurante per sé ed i lettori del Corriere della domenica) alla “Rivoluzione che va in pensione”.
La notizia, infatti non esiste e prende lo spunto dal fatto che tre dei leader del ’68, Bertinotti, Russo Spena e l’odiato Capanna, siano ormai andati in pensione e ne prendano più d’una, compreso il famoso vitalizio di ex parlamentari. Giustamente del resto, perché i tre hanno superato i 65 anni (Bertinotti ne ha addirittura 71) e dopo 40 anni di lavoro politico e professionale la pensione gli spetta e a mio avviso se la sono meritata.
La notizia, infatti non esiste e prende lo spunto dal fatto che tre dei leader del ’68, Bertinotti, Russo Spena e l’odiato Capanna, siano ormai andati in pensione e ne prendano più d’una, compreso il famoso vitalizio di ex parlamentari. Giustamente del resto, perché i tre hanno superato i 65 anni (Bertinotti ne ha addirittura 71) e dopo 40 anni di lavoro politico e professionale la pensione gli spetta e a mio avviso se la sono meritata.
Cosa dovrebbero fare secondo Grasso (che quando andrà in pensione nel 2013 di assegni ne prenderà anche lui almeno due, uno da giornalista e uno da professore universitario) i tre ex “rivoluzionari”, rinunciare pubblicamente alle loro pensioni? E perché mai? “Volevano cambiare il mondo, hanno cambiato la loro situazione previdenziale” commenta con velenoso sarcasmo il professore di televisione, docente alla Cattolica di Grande Fratello. Cosa preferiva che il suo comodo e dorato mondo di docente dell’effimero riuscissimo davvero a cambiarlo, magari mandandolo finalmente a lavorare in fonderia? Cos'è, gli rimorde la coscienza di servo dei padroni?
2 commenti:
Gentile sig. Arcari,
leggo con profondo rammarico il pezzo da lei scritto.
Non per il tema trattato (è una notizia quella di Grasso? E' una notizia la sua risposta? Io direi machissene...) nè per le persone citate (che ormai appartengono alla preistoria politica), ma per il poco velato disprezzo con il quale parla dell'Università Cattolica e della disciplina di Scienze dello Spettacolo.
In qualità di ex studente i termini "Cattolica di Grande Fratello" e "docente dell'effimero" li trovo totalmente inopportuni se proferiti da una persona che probabilmente non sa nemmeno quali sono gli argomenti trattati in una facoltà di scienze mediali.
Saluti.
Caro anonimo ex studente di "scienze mediali", primo impara a firmati se vuoi essere preso in considerazione, secondo, resta nel merito. I miei giudizi non sono riferiti alla tua riverita ex facoltà, ma al commento giornalistico sprezzante e offensivo di Aldo Grasso nei confronti di altri, tra cui io che ho fatto il '68 e sono pensionato. Grasso lo conosco benissimo e forse meglio di te dal momento che 25 anni fa partecipammo insieme alla realizzazione di un progetto espositivo speciale della Fiera di Milano che si chiamava "La casa telematica" al quale portammo i nostri rispettivi contributi. Lui già allora si occupava di TV, io di Information Technology. Ha vinto lui, grazie alla nefasta dittatura della Tv commerciale che ha reso effimera la cultura del nostro Paese, ma questo fatto non gli da il diritto di essere sprezzante.
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