Due giorni di pioggia e il Nord Est, la fabbrica diffusa più famosa d’Europa va sottacqua. Il modello sociale ed economico basato sull’autosfruttamento delle persone e dell’ambiente è arrivato al capolinea. I veneti messi di fronte bruscamente a questa realtà nel novembre scorso hanno reagito come pugili suonati: si sono faticosamente rimessi in piedi e hanno cercato di tornare barcollando al centro del ring, dove ovviamente si sono presi una nuova sventola.
La natura non fa sconti e se non si tiene conto degli avvertimenti sono dolori. Soave è allagata dal Tramigna, Vicenza in allarme rosso con il Bacchiglione il veronese è minacciato dall’esondazione dell’Alpone, mentre i colli franano. In Veneto ci si chiede: come sono stati spesi i fondi stanziati per l’alluvione di novembre, quei 300 milioni che il governo ha messo a disposizione del governatore Zaia per ingabbiare i fiumi o creare i bacini di contenimento?. A Vicenza i lavori per la costruzione del bacino di laminazione, che offrirebbe una valvola di sfogo alle acque del Bacchiglione, non sono ancora partiti.
Il problema però non sono le toppe infrastrutturali, il problema è il territorio lacerato che non si può rattoppare. Quello che accade è il risultato di trent’anni di saccheggio ambientale. Negli anni 80 il Nord Est è diventato un fenomeno economico di imprenditorialità diffusa che ha stravolto tutti gli equilibri idrogeologici e oggi non è più sostenibile..
Negli anni fra il 1990 ed il 2003 l'export dell'area è salito a valori correnti da 17,8 a 52,1 miliardi di euro. A far crescere la notorietà del Nord-Est nel mondo come modello imprenditoriale è stata fra l'altro, la constatazione che una sola provincia come Vicenza è arrivata ad esportare più dell'intera Grecia, mentre Treviso da sola ha coperto in un anno un sesto del saldo attivo italiano con l'estero. Numeri da record che spiegano bene la estrema fragilità del territorio causata dall’enorme pressione provocata dalla fabbrica diffusa e dall’aumento della popolazione, ingrossata dall’esercito di riserva degli immigrati. Ma proprio oggi che le aziende venete chiudono e il lavoro cala, il territorio rapinato presenta il conto.
Il problema in Veneto, come in Lombardia, non sono gli argini o le vasche di laminazione da costruire per non finire sottacqua, ma è il modello economico insostenibile. La fabbrica diffusa è diventata una cancrena che consuma continuamente territorio e il just in time che mette sulle strade milioni di tonnellate di merci ogni giorno per rifornirla è una sciagura devastante quanto lo tsunami. Dobbiamo cambiare, e le parole d’ordine devono essere, stop al consumo del territorio, stop al just in time che scarica i costi del magazzino sulle strade, basta con la socializzazione delle perdite e la privatizzazione degli utili. Stop con un modello imprenditoriale falso e bugiardo che trasforma i lavoratori in “imprenditori” per non pagarli a fine mese e non versare loro i contributi. I “padroncini” travolti dalla crisi mondiale, non sono piccoli capitalisti, ma proletari indebitati come i loro collaboratori che lavorando in nero negli anni grassi si sono arricchiti. Il miracolo veneto è finito: lo dice il Bacchiglione.
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