Rilancio con piacere questo comunicato stampa sulle iniziative dell'8 marzo diffuso dal Comitato delle donne che hanno organizzato le manifestazioni milanesi del 29 gennaio e del 13 febbraio.
8 marzo 2011: le donne danno i numeri. Lo faremo con cartelli e striscioni e girando per il centro in bicicletta per spiegare che le donne sono il 60% dei laureati, ma solo il 46% di chi lavora. Che sono il 42% dei magistrati, il 32% dei medici, il 42% degli avvocati, il 30% degli imprenditori ma guadagnano, in media, il 20% in meno degli uomini a parità di lavoro. Che lavorano più degli uomini tra professione e lavoro di cura ma i loro contratti sono a part-time e a tempo determinato più di quelli degli uomini, e che più di loro sono precarie. In Italia (tra gli ultimi paesi d’Europa) il 21% dei deputati e il 19% dei senatori è donna. Nel governo ci sono 5 ministre, di cui 3 senza portafoglio. Nei consigli d'amministrazione delle società quotate in borsa la presenza femminile è solo del 3% (In Norvegia è pari al 42%). Il 68% delle donne tra i 20 e i 49 anni ha un’occupazione se non ha figli, il 60% se ha un figlio, il 54% se ha due figli.
In Italia, la spesa per le politiche sociali e famigliari rappresenta l’1.3% del PIL, meno della metà della media europea, un terzo della Francia. Le donne fanno il 77% del lavoro famigliare; solo il 10% dei bambini da zero a due anni frequenta un nido. Il welfare per i piccoli è rappresentato dai nonni (chi li ha). Alle richieste di part time e orari flessibili spesso le aziende rispondono negativamente (mobbing strategico). Il 40% delle donne sotto i 40 anni (e il 55% di quelle sotto i 30 anni) non può fruire delle tutele sulla maternità previste dalla legge perchè non ha un lavoro a tempo indeterminato.
Le leggi, gli integralismi religiosi, il lavoro, certe politiche della famiglia sbandierate ipocritamente e moralisticamente da chi, come il premier, per primo inquina la vita pubblica, tentano di ricondurci nei ruoli tradizionali e di ostacolare la libertà di disporre della nostra vita. C’è una responsabilità maschile in tutto ciò: basti pensare ai vantaggi che l’uomo continua a garantirsi, e alla violenza materiale e simbolica di cui il corpo femminile continua a essere oggetto; è per questo che le donne che hanno manifestato il 13 febbraio hanno chiesto agli uomini l’impegno a volgere lo sguardo su di sé, a interrogare la propria storia. Qualcuno lo sta facendo, e sta mettendo in discussione insieme a noi i modelli pervasivi che il degrado della vita pubblica ha prodotto, improntati al più bieco machismo e alla rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale.
Noi vogliamo dire basta a tutto questo prima che sia troppo tardi. Ci vogliamo riprendere, senza falsi moralismi, la città e la vita pubblica, liberandola dalla corruzione, dall’ipocrisia, dal familismo, dall'omofobia. Noi pretendiamo istituzioni oneste e che lavorino nell'interesse del miglioramento della vita di tutte e di tutti. Non siamo in vendita, non siamo merce di scambio per festini, non stiamo dietro le quinte ma in piazza. Diamo visibilità alla nostra voglia di cambiare questo Paese, appendiamo in tutte le città e i paesi della nostra regione un lenzuolo bianco fuori dalle nostre finestre dall’8 al 14 marzo.
E’ il 14 marzo infatti la data nella quale a Milano si terrà una grande assemblea di discussione e di confronto per raccogliere nuove energie e dare continuità alla mobilitazione delle donne.
Per adesioni: milano13febbraio@gmail.com
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