martedì 14 dicembre 2010

PD, un programma per lasciarsi alle spalle Berlusconi

Dopo la grande manifestazione del PD di sabato scorso a Roma alla quale ha partecipato anche una delegazione del Partito Democratico di Paderno Dugnano, capeggiata dal coordinatore Oscar Figus, dal Capogruppo Marco Coloretti e dal consigliere Roberto Ranzenigo (nella foto), ho riletto con attenzione il discorso pronunciato da Pierluigi Bersani. Un discorso importante che oggi, dopo il voto di fiducia che ha sancito l’atto finale del berlusconismo e il suicidio del centrodestra da lui inventato, merita di venire analizzato per i contenuti programmatici ai quali il centro sinistra dovrà ispirare la sua politica nei prossimi mesi in vista delle elezioni anticipate della prossima primavera.

Bersani ha descritto a San Giovanni, in modo per la prima volta molto nitido e comprensibile a tutti, qual è il sogno del PD e su quali gambe la nuova Italia che si lascia finalmente alle spalle tre lustri di illusioni populiste, può davvero camminare.
Unità d’Italia - Il nostro è un Paese la cui unità deve essere riaffermata e riconquistata, combattendo e sconfiggendo quelli che la vogliono dividere nell’illusione di aumentare la loro ricchezza, perché tutti sanno che il Nord senza il Sud non va da nessuna parte. Napoli, Bari, Catania sono grandi città industriali, sedi di aziende con produzioni d’avanguardia. L’Italia è un Paese che ha bisogno di più uguaglianza e solidarietà per crescere, perché questi due valori, prima ancora che moralmente, sono economicamente più accettabili del loro contrario; diseguaglianza ed egoismo infatti ci impoveriscono. Solo con più conoscenza e innovazione, ma anche più legalità, sobrietà e civismo, avremo più sviluppo e più lavoro.
Europa e Italia - L’Europa, in cui l’Italia crede, non può ridursi ad essere quella che mette la pezza il giorno dopo il buco, non può ridursi ad essere quella che salva solo le banche o qualche Paese che si è indebitato per salvare le banche. Il debito pubblico che si è prodotto in questi mesi in Europa lo si paghi con una tassa sulle transazioni finanziarie e non ricada, come sta avvenendo, sull’occupazione e sulle politiche sociali. L’Europa per fare investimenti in infrastrutture e innovazione, emetta titoli europei, sostenendo così la crescita e il lavoro e metta finalmente l’occupazione nei suoi riferimenti e non solo il debito e il deficit. La moneta comune, senza una politica economica comune, è un controsenso.
La crisi italiana - Questa crisi è grave perché il nostro sistema è malato nei suoi assetti democratici e nella sua incapacità a crescere. La proposta del PD si misura su due grandi sfide: una riforma repubblicana delle regole e un’alleanza per la crescita e il lavoro.

Riformare la Costituzione per semplificare e rendere efficiente il Parlamento e la forma di Governo, ridurre il numero dei Parlamentari, fare una legge elettorale seria, fare un federalismo responsabile e congegnato per unire. Bisogna portare ogni costo della politica alla media europea, cancellare le leggi speciali, semplificare le procedure ordinarie, far funzionare a pubblica amministrazione a cominciare dalla giustizia per tutti i cittadini. Definire le incompatibilità e i conflitti di interesse, cancellare monopoli e posizioni dominanti a cominciare dall’informazione. Bisogna introdurre norme, a cominciare da quelle finanziarie, per snidare le illegalità e le mafie. Bisogna occuparsi dei diritti, dell’articolo 3 della nostra Costituzione, con leggi che sostengano la parità e riconoscano le differenze a cominciare dal ruolo delle donne nei ruoli di direzione, leggi che combattano l’omofobia, che garantiscano la dignità della persona nella malattia, che impediscano che il disordine dell’immigrazione ricada sulla parte più debole della nostra popolazione e che dicano finalmente a un bambino nato qui e figlio di immigrati: tu sei un italiano.
Un patto per lo sviluppo- La crescita e lo sviluppo devono scaturire da un nuovo patto fra istituzioni, lavoro, impresa, cultura e scienza. In quel patto vogliamo ci sia una vera riforma fiscale. Basta con un Paese paradiso dei condoni, un Paese dove il 10% della popolazione possiede il 50% della ricchezza senza che gli si possa chiedere nulla, un Paese dove l’aliquota più bassa di un operaio, di un pensionato, di un artigiano è più alta di quella della rendita finanziaria. E’ tempo di alleggerire il carico sulla famiglia, sul lavoro e sull’impresa e di accrescerlo sull’evasione fiscale, sulla rendita finanziaria e immobiliare se vogliamo dare un po’ di spinta all’occupazione. In quel patto sociale deve starci un’idea di politica industriale, agricola e dei servizi: un orizzonte che ci chiarisca finalmente dove vogliamo andare, quale posto vogliamo che abbiano le nostre produzioni nel mondo e dove sospingere quindi investimenti pubblici e privati.
Qualità, tecnologie, ricerca, innalzamento dell’istruzione e della conoscenza, efficienza energetica, frontiera ambientale e dei beni culturali: questi dovrebbero essere i nuovi parametri. E in quel patto ci deve stare una ripresa delle liberalizzazioni, ci deve stare una rilettura del nostro welfare a partire dal tema dei servizi e dalla condizione della famiglia piegata dalla caduta dei redditi, dalla non autosufficienza, dalla nuova disoccupazione giovanile e delle donne. Il tutto secondo un principio: in economia ci vuole un mercato più aperto, regolato, concorrenziale e svolto a parità di condizioni. Ma i bisogni essenziali delle persone, salute, istruzione, sicurezza non possono essere affidate al mercato.
Il lavoro torna al centro - In questo nuovo patto, al centro, ci deve essere il grande tema del lavoro e delle relazioni sociali. Di fronte alla globalizzazione bisogna dare produttività, flessibilità ed efficienza alle nostre produzioni, ma dare tutto questo a fronte di un quadro di riforme che interessi tutta la società e all’interno di parole d’ordine nuove: l’unità del lavoro per noi è un bene pubblico, è una condizione della crescita. Più decentramento nei rapporti sociali si, più articolazione si, ma senza buttare a mare totalmente la dimensione nazionale dei contratti perché questo è un Paese già molto diviso e che bisogna tenere assieme. Nuove norme in materia di lavoro. Per cominciare a parità di mansione offerta all’impresa un’ora di lavoro precario non può e non deve costare unitariamente meno di un’ora di lavoro stabile e per chi non è coperto dalla contrattazione ci sia un salario minimo stabilito per legge.
Alleanza con i cittadini-lavoratori - Con chi il PD può realizzare tutto questo? Con tutte le forze democratiche che sono disponibili a stringere un patto di governo e di riforme solido, serio e garantito, perché su questo ci si deve presentare ai cittadini e chiedere il loro consenso e la loro fiducia. La vera alleanza il PD la vuol fare con i cittadini, quelli che il pane se lo sudano, ma che possono guardarsi tranquillamente allo specchio. Con i lavoratori che perdono o rischiano l’occupazione, le famiglie inquiete per il futuro dei figli, con i precari, i pensionati che faticano a vivere, con gli insegnanti che non si arrendono, gli imprenditori che non mollano, i difensori della legalità, magistrati e forze dell’ordine, che resistono, con gli amministratori perbene che si appassionano alla loro comunità, gli studenti che sanno studiare e che sanno farsi sentire, i volontari che diffondono solidarietà, con gli immigrati che lavorano qui, tirano la cinghia e mandano un po’ di soldi alle loro famiglie, come abbiamo fatto noi italiani per tanto tempo. “Noi ci rivolgiamo a questi e a tanta altra gente così perché solo a partire da loro e dalla loro condizione potremo fare un Paese migliore per tutti – ha concluso Bersani -. Dobbiamo fare in modo che la gente alla quale vogliamo bene, voglia bene a noi e ci consideri alla testa di una riscossa che li riguarda”.
Un programma chiaro e di sinistra - Mi sembra che il programma politico che il PD propone oggi al Paese sia molto diverso e molto più credibile di quello che ha finora offerto la destra. Ogni punto dell’elenco delle cose da cambiare, delle riforme da fare, contraddice le ricette fallimentari della destra e denuncia le ideologie privatiste, individualiste, liberiste che hanno portato l’Italia in questa miserevole situazione.
Il PD, le forze che lo hanno fondato e lo sostengono, è sempre stato dalla parte di questi soggetti che la crisi provocata dagli errori e dai crimini delle destre finanziarie ed economiche mondiali hanno messo ancora di più in difficoltà, e oggi deve rialzare le sue bandiere e sventolarle per mostrare a questi la nuova strada da imboccare.
Molto del programma che Bersani ha dichiarato di voler perseguire si basa proprio su una cultura e una visione politica che sono quelle tradizionali del socialismo democratico e del cattolicesimo sociale. Cultura e visione che dopo il fallimento del “pensiero unico” che ha imperversato per 16 anni, hanno oggi la possibilità, anzi il dovere, di scendere in campo e di affermare nel confronto la loro superiorità. Ogni compromesso o mediazione con le idee e gli interessi dell’Italia sempre più minoritaria che pensa di riuscire a salvare ancora i suoi interessi e il suo patrimonio a spese della maggioranza che ha sempre di meno, è un errore. Il berlusconismo, lo ha capito anche chi per troppo tempo è stato suo alleato e oggi se ne allontana, si abbatte, non si cambia.

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