Da tempo rifletto su un fenomeno tipico del nostro tempo che trovo insopportabile. Tutti si affannano, aiutati in questo dalla potenza delle tecnologie informatiche, a creare community, associazioni, gruppi, movimenti che, nati su istanze le più varie, spesso finiscono per evolvere in partiti perché esprimono leadership e si presentano alle elezioni, che però a differenza dei partiti tradizionali, in nome del principio della democrazia diretta, finiscono per negare la democrazia sostanziale. Partiti basati sull’iniziativa individuale per fini che prima o poi si scoprono banalmente individuali.
Questo scenario è quello che caratterizza la fase attuale della nostra realtà. E’ una patologia seguita al fallimento dei gruppi dirigenti della Prima Repubblica, che persiste però a quasi 20 anni di distanza a riprova del fatto che la nostra società è ormai vecchia e stanca perché non trova in sè stessa le energie sufficienti per andare oltre. Il risultato è una stagnazione insostenibile, isterizzata dal falso movimento creato da mille individualità frustrate nei loro bisogni di affermazione. Mille storie senza storia né futuro, che si esprimono solo “contro” l’unica cosa che davvero conoscono: il passato. Da qui l’odio per i partiti visti tutti come il male da cui rifuggire e in definitiva l'odio per la politica.
I protagonisti del presente ultra movimentista, odiano, perché non le capiscono e non se ne fidano, le strutture politiche che selezionano i gruppi dirigenti attraverso una pedagogia fatta di studio, elaborazione teorica e prassi, alla quale oppongono un continuo attivismo virtuale, un diluvio di microiniziative personali, montagne di parole vuote che non partoriscono mai dei fatti concreti. Al massimo riunioni, convegni, blog, eventi mediatici. Persino Marchionne, il capo della Fiat, per sostenere il suo programma di sviluppo dell'azienda, non va davanti all'assemblea dei soci, ma in televisione, nel salotto di Fazio; ma per rivolgersi a chi? Non alle sue controparti o alla sua proprietà, ma all'opinione pubblica. Ma cosa c'entra l'opinione pubblica con un'azienda privata? Cerca il consenso mediatico per bilanciare i dubbi che cominciano a serpeggiare tra i suoi veri interlocutori che stanno a Torino e non a Detroit?
Un tempo un uomo politico apriva un giornale, fondava una rivista, definiva il terreno di un dibattito, elaborava programmi e poi scendeva in campo con la sua proposta, trasformandola in azione sociale. Oggi un disturbato qualunque apre un blog e coinvolge migliaia di imitatori privi di modelli in un dibattito sconclusionato dal quale però far uscire una candidatura per un comodo e ben remunerato posto in un’assemblea elettiva, regionale o nazionale. Una poltrona tradizionale conquistata con metodi nuovi, basati sul web marketing, che costa molto meno in tutti i sensi perché smaterializza in primo luogo la concretezza della politica, fatta di relazioni materiali con i soggetti che si vuol rappresentare.
Bisogna mettere fine a questa deriva verso l’insignificanza, e lo si può fare in un solo modo: ricominciando a rappresentare i bisogni e gli interessi di persone in carne e ossa, non di nikname, e per farlo bisogna ricostruire le forme organizzative analogiche della politica. Un partito politico per me oggi è una vetrina aperta tutti i giorni nel centro di un quartiere o di un paese. Un luogo facile da raggiungere dove i cittadini entrano a chiedere e dare informazioni, a chiedere e offrire sostegno, a chiedere rappresentanza e produrre iniziativa politica. Il web, in questo schema, è solo un mezzo con il quale un cittadino trova informazioni sulle cose che gli interessano, ma deve servire a indirizzarlo verso la famosa vetrina dove potrà incontrare persone in carne e ossa come lui con le quali entrare in relazione e affrontare insieme problemi che sono di tutti. Quello digitale è un Paradiso Terrestre nel quale l’uomo si aggira senza senso. E’ ora di mangiare la mela e tornare nella vita materiale a guadagnarsi il pane della politica col sudore della fronte e a partorire il mondo nuovo con dolore.
10 commenti:
Condivido appieno la tua analisi. L'importanta dei mass media sta diventando preponderande e ci trascina verso una deriva pericolosa. Ti invito a visitare il mio blog in cui descrivo un punto di vista anticonformista sulla tragedia della stazione Anagnina.
http://www.scomodamente.info/2010/10/la-tragedia-dellanagnina-e-il-razzismo_26.html
Cito: "le strutture politiche che selezionano i gruppi dirigenti attraverso una pedagogia fatta di studio, elaborazione teorica e prassi".
L'immobilismo del PD non rispecchia quanto sopra. La Serracchiani e Renzi (sindaco di Firenze), giovani emergenti anime della sinistra riformista in salsa liberal, vengono schiacciati e silenziati dalla nomenclatura che da più di 20 anni siede ai vertici delle varie, troppe sigle assunte dall'ex PCI.
Non mi pare che ci sia modo di emergere in seno ai grandi partiti istituzionali, uguali come ramificazione di potere a quelli della prima repubblica con l'aggravante di non avere più la radicalità sul territorio.
Mi spiace dissento.
Caro anonimo, dissenti, ma non ti firmi. Perché, che cosa temi?
Renzi e Serracchiani sono due dirigenti locali del PD come ce ne sono tanti altri. Emergono mediaticamente (perché criticabo Bersani e D'Alema), ma non hanno un gran seguito e tra i militanti il loro consenso è limitato dalla loro proposta politica che è inesistente o si limita a chiedere ai vecchi leader di farsi da parte. Perché dovrebbero averne? Renzi non mi convince nemmeno come sindaco di Firenze e Serracchiani non ha fatto finora niente di significativo a Bruxelles. Come Civati in Lombardia: cosa ha fatto di importante nei cinque anni del suo primo mandato, oltre a tenere un blog e organizzare convegni di "giovani" da cui non è uscito nulla? Insomma, l'innovazione non è il nuovo. Studio, elaborazione teorica e prassi non si possono certo realizzare con i blog o i convegni in cui si va a fare battute buone per i giornali del giorno dopo. Di battutisti ne abbiamo già abbastanza mi pare.
La ricetta berlusconiana si è rivelata un rimedio peggiore del male,cioè delle distorsioni che avevano caratterizzato la prima repubblica.
Il grande cambiamento, che solo ora iniziamo a vedere, ma che in realtà è in atto dal 2006,cioè da quando-dopo i cinque anni di centro destra- è definitivamente svanito il sogno pseudo-liberale delle grandi riforme.
Condivido solo parzialmente quello che dici, perchè i movimenti sono nati proprio perchè i partiti, anche quelli di sinistra, non sono stati in grado di capire e di rappresentare una parte della popolazione.
Baraviera Aris
Nessun timore, ho solo dimenticato di farlo.
L'opinione sulla Serracchiani e Renzi e del tutto soggettiva, credo invece che in molti abbiano apprezzato quantomeno il tentativo di sveccchiamento di una partitocrazia gerontoiatrica. Così non è stato. Non che dall'altra parte ci sia la meglio gioventù, ma resta comune e non risolto un problema di fondo: cosa sono i partiti oggi? Cosa rappresentano? Dove sono le idee? A me sembra un accolita di tifosi intenti a creare diatribe su problemi futili (case a Montecarlo, piuttosto che ad Antigua, questione morale e società dell'accoglienza). Le vere questioni politiche ed economiche in realtà non dipendono più dalla volontà dei "nostri rappresentanti" ma dagli organismi sovranazionali (UE, FMI, WTO e Banca Mondiale su tutti). Le linee guida in materia economica e sociale sono tutte di matrice liberista indipendentemente dal fatto che al governo ci siano forze partitiche di centro destra che di centro sinistra.
Questa è l'amara verità. Il resto è società dello spettacolo (parafrasando il celebre testo di Guy Debord).
Saluti.
Giuseppe Maneggio
I movimenti servono a scrollare l'albero, i frutti li raccolgono i partiti, se sanno più fare il loro mestiere. Se i movimenti diventano associazioni, correnti o nuovi partiti non sono più movimenti. Paradignatici in questo senso sono i casi IdV e Cinque Stelle, due "movimenti" messi in piedi da singole personalità, che diventano partiti personali, uno di Di Pietro e l'altro di Grillo. Perché Di pietro non è entrato nel PD?Perché lui voleva avere un partito personale, per soddisfare la sua volontà di potenza e banalmente gestire in proprio dei soldi pubblici. Grillo cos'à in testa? E chi lo sa, ma di certo non esprime una politica che può servire al governo del Paese. Poteva continuare a fare il comico? No perché ormai i temi della sua comicità erano la denigrazione, l'insulto, la caricatura della politica in quanto tale e la gente che andava in teatro non chiedeva divertimento, ma voleva vederlo e ascoltarlo uccidere quello che odiava di più: la politica.
Se i movimenti nascono in odio alla politica non vanno rincorsi, ma combattuti e sconfitti dalla politica con le armi della politica.
Giuseppe, non sono d'accordo con la tua visione, perché il destino economico della Germania non viene deciso dagli organismi economici sovranazionali. Anzi è la Germania che di fatto indirizza l'Europa. Noi non siamo forti come la Germania, ma non siamo nemmeno l'ultimo Paese europeo in termini di ricchezza pro capite e PIL.Le idee ci sono basta vederle: la destra ha creduto e continua a sognare che il libero mercato basti e avanzi, che le PMI siano sufficienti, che la deregulation sia sinonimo di nuovo sviluppo. la sinistra invece esita a dire quello che pensa, cioè che senza un nuovo interventismo delle Partecipazioni statali in Italia, sui fronti della ricerca e della nuova tecnologia non ci sarà mai innovazione e dunque nuova impresa e nuovo sviluppo. Come Mattei ha fatto con l'Eni così oggi Bersani deve fare con la ricerca e la green economy. Altro che nucleare.
Siamo di fronte a due visioni e a due alternative. Se gli italiani aprono gli occhi e fanno due conti, guardando al futuro dei loro figli. non possono sbagliare.
Carlo, la Germania è solo un pochetto più sovrana di noi. Ti pare che si possa parlare di sovranità quando le politiche monetarie vengono decise da privati? L'euro di chi è? La commissione europea chi l'ha eletta? Noi cittadini? Non mi risulta. Eppure Barroso e soci decidono sulla pelle di 500 milioni di europei. Ciò a cui stiamo assistendo è un vero e proprio assalto neoliberista alle politiche nazionali degli stati europei. Dalla Grecia, alla Francia passando per la Spagna socialista fino ad arrivare al destrorsa Romania solo una ricetta: tagli del welfare, perdita dei diritti dei lavoratori e riforme pensionistiche. Tutte ricette volute da FMI, e Banca Mondiale che con il doppio cappio dei prestiti e del debito pubblico impone a tutti la medesima soluzione liberista.
Non credo che il PD possa salvarci da questa deriva. Il partito di Bersani è di fatto una forza progressista ma liberista. Non è con il primo governo Prodi che è passata la legge Treu sulla precarizzazione del lavoro? E la svendita del patrimonio pubblico avvenuta subito dopo il terremoto di Mani Pulite non è avvenuta con i cosìddetti governi tecnici presieduti tra gli altri anche da "socialista" Amato?
Giuseppe Maneggio
Giuseppe, fammi capire. Per te tra il liberismo selvaggio che nega ogni ruolo dello Stato democratico nella definizione di regole e controlli delle libertà economiche uguali per tutti e il modello liberale, laburista e popolare perseguito, con difficoltà certo, da Bersani non c'è differenza? La tua alternativa all'uno e all'altro qual è?
I modelli che hai presentato, Carlo, sono due facce della stessa medaglia a mio modo di vedere.
Non so come si possa definire, ma di certo non è qualcosa che possa sposarsi con le teorie mondialiste e globalizzanti che attualmente dominano la scena politica. In sintesi:
- riappropriazione della sovranità monetaria (Banca d'Italia in mano al Ministero del Tesoro trasformata in Società di Diritto Pubblico)
- stretta sulla politica bancaria così come proposta da Maurice Allais (suddivisione in banche di deposito, banche di investimento e banche di prestito)
- acqua, energia, trasporti e telecomunicazioni, sanita e istruzione in mano pubblica
- messa al bando di tutte le logge massoniche di ogni ordine grado
- nazionalizzazione della FIAT
Forse così potremmo definirci sovrani
Saluti
Giuseppe Maneggio
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