martedì 26 ottobre 2010

Marchionne: guardiamo alla Germania e non alla Cina

Dopo la rabbia, il ragionamento. Sulle dichiarazioni insincere e sprezzanti di Marchionne occorre riflettere per dare risposte meno emotive e accettare il confronto. Risposte politiche innanzi tutto perché di questo si tratta: di politica industriale. Non si può negare, infatti, che quando il manager Fiat dice: “In Italia tutti parlano, ma il Paese non si capisce dove va”, abbia ragione.
Il Corriere della Sera ieri ha pubblicato un bel commento di Massimo Mucchetti nel quale il giornalista economico lucidamente chiede al capo dell’azienda torinese: “Che cosa ha inventato di grande in quest'ultimo lustro la Fiat? Come lavora l'ufficio progetti? Quanto incidono i 10 minuti di pausa in meno o il sabato lavorativo in più, sui margini di contribuzione dei diversi modelli? Come intende cambiare stabilimento per stabilimento, e con quale spesa, l'obsoleta struttura produttiva italiana? I mitici 20 miliardi in 5 anni vanno bene per introdurre il confronto, ma poi bisogna spiegarsi. Anche perché la Fiat non sta investendo al ritmo promesso”.
Già, cosa ha prodotto di innovativo la ricerca Fiat negli ultimi 5 anni, un periodo che nell’hi tech corrisponde a un’era geologica? Cosa contano una pausa di 10 minuti in più sul sistema della competitività? E quando cominciano gli investimenti produttivi sempre annunciati, ma non attuati?

Insomma, se Marchionne invoca con ragione una “politica industriale”, cioè un intervento dello Stato, lo chieda senza arroganza e dica che cosa è disposto a dare in cambio in termini di codecisione sulla gestione del cambiamento e dell’innovazione che non può realizzarsi certo riducendo il sistema dei diritti conquistati dai lavoratori italiani negli ultimi 50 anni. Osserva ancora Mucchetti: “Se avesse preso la Opel, la Fiat avrebbe accettato il regime della codecisione con i sindacati tedeschi, che hanno meno iscritti degli italiani. Perché dunque non istituzionalizzare anche da noi la collaborazione, sfidando Fim, Fiom e Uilm, ma anche le altre grandi imprese private e pubbliche, sul terreno ambizioso della codecisione? Nel Novecento, la Fiat modernizzò l'Italia imitando la Ford. Ma da vent'anni l'America non ha più nulla da insegnare nell'auto. In Europa, per l'auto, e non solo, il modello è la Germania, terra di doveri e di diritti, dove il governo taglia la spesa pubblica, impone sacrifici, ma fa politica industriale, finanzia la ricerca e conserva, nonostante le lamentele della Confindustria tedesca, il ruolo centrale e stabilizzatore del sindacato; e poi, quando torna il bello, ripaga”.
Perché Marchionne al posto di guardare alla Cina e indicare quel fortissimo, ma inaccettabile e insostenibile per noi, sistema produttivo come un modello, non guarda invece alla Germania e non accetta questo confronto con il suo modello di produzione e di codecisione impresa-governo-sindacato? La Germania è in Europa e noi siamo europei. Non canadesi o cinesi.

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