venerdì 19 marzo 2010

Quel lato in fiore che non vediamo mai

“Marco Riva era blu e rosa” cominciava con questa descrizione il “coccodrillo” (così si chiama in gergo giornalistico) che il Quotidiano dei Lavoratori pubblicò a firma di Antonio Massa per ricordare la figura del compagno e collega Marco Riva, redattore ventenne del giornale, morto suicida l’8 gennaio del 1979. L’incipit del testo scritto da chi lavorava ogni giorno al desk con lui nella stessa stanzetta affacciata sul corridoio fumoso e sporco della redazione di via Bonghi, riassumeva molto bene l’immagine superficiale che tutti avevamo di quel nostro amico di cui nessuno sospettava il dolore e nessuno immaginava potesse fare un gesto simile. “Ma perché si è ucciso in quel modo, perché un gesto così vigliacco, come si può fare una cosa simile? Non è da comunisti” chiedeva stupido e arrogante, come sempre allora, il giovanissimo e biondo Umberto Gay, enfant prodige del giornale (diventò un giornalista famoso di Radio Popolare), a Saverio Ferrari, storico dirigente di DP (responsabile del servizio d’ordine) che guidava la sua auto scalcagnata. Tornavamo dalla caserma dei Carabinieri del Gallaratese dove eravamo andati a chiedere notizie ai militari che lo avevano trovato morto poche ore prima nella sua macchina trasformata con insospettabile perizia artigianale in una perfetta camera a gas su ruote. Saverio sospirò e gli rispose pazientemente come si fa con i bambini noiosi e zucconi: “Ma Umberto! Certo che si può, certo che si fa. Amore e dolore. Ci si uccide sempre per questi motivi”. Questo vecchio film, il ricordo di un’auto abbandonata in mezzo a un prato bianco e congelato di periferia con dentro il cadavere blu e rosa di Marco Riva, è quello che proietta la mia memoria, mentre mi interrogo 30 anni dopo sulla morte crudele di Simone Casati.

Il compagno Marco aveva lanciato come ultimo messaggio a noi, amici increduli, l’accusa scritta sulla tomba di Serepta Mason: “Voi non vedeste mai il mio lato in fiore..”, accompagnata dalla frase immortale di Paul Nizan: “Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è l'età più bella della vita”. Ma questo cosa spiegava? Niente spiegava, tutt’al più alludeva. Il mistero, quello che restava oscuro a tutti noi, era il suo “lato in fiore” che egli ci accusava di non avere visto e nemmeno sospettato. Chi era Marco Riva? Noi che eravamo i suoi amici e i suoi compagni di fede e di lotta quotidiana non lo sapevamo. Chi era Simone Casati? Impossibile dirlo adesso. Ho cercato di capire qualcosa leggendo le centinaia di messaggi raccolti nella sua pagina di Facebook (che non è la collina di Spoon River), ma ho smesso subito perché il mio era un tentativo presuntuoso e arrogante. Aveva più di 600 “amici”, ragazzi e ragazze giovani come lui, registrati alla sua pagina, ma con loro parlava solo di calcio (il Milan) e di birra, come solo questo ci fosse nella sua vita di relazione.
Una goffa maschera, naturalmente. Il suo “lato in fiore” Simone, lo nascondeva gelosamente a tutti e nessuno l’ha mai visto, anche se le foto che aveva scelto per illustrare il suo album, lasciano intendere che di sicuro c’era. Nascosto dietro al Milan, alla birra e alle volgarità forzate che sempre ostentano i giovani per rendersi “simpatici” e farsi accettare dal gruppo. Il fiore c'era e bellissimo. Avrebbe potuto sbocciare da ogni lato e anche noi l'avremmo visto, se i suoi petali delicati non fossero stati intristiti e inariditi dalla polvere e dal vento crudele della vita.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

non sempre i segnali del male di vivere sono visibili...

RUSH ha detto...

Marchino con cravata, piu' giovane di noi, parla con Borelli di Spoon River...colpisce la tastiera e ascolta Ciaikovsky, la Sinfonia "Patetica"...