La finale dei 100 metri piani corsa ieri sera nello stadio di Berlino ha visto il giovane e simpaticissimo Bolt frantumare il suo precedente record mondiale portando il limite a 9 secondi e 58 centesimi. “Brutto colpo per il fantasma di Hitler e per gli zombie neonazisti di tutto il mondo che continuano a credere nella superiorità della razza ariana” osserva Santamaria ammirando le foto del jamaicano che ha conquistato il traguardo facendo balzi di quasi due metri e mezzo alla velocità media di 37,5 km l’ora.
Di fronte al risultato di questa finale mondiale che ha visto schierati solo atleti di origine africana (cinque caraibici, due statunitensi, un inglese) ogni argomento razzista appare ancora più grottesco. A 71 anni dall’exploit di Jesse Owens, non a caso avvenuto proprio qui a Berlino alle Olimpiadi del 1938, l’atletica al massimo livello è ormai diventata una disciplina esclusiva dei giganti neri. Il campione della Jamaica prima della partenza scherzava con le telecamere facendo smorfie e giocando come un ragazzino, dimostrando che per lui correre è soprattutto una cosa divertente, naturale, da fare con piacere: un’esplosione di vitalità.
"Tutto il contrario di quello che ci era toccato subire poco prima aspettando per quasi un’ora e mezza i comodi dei dieci fantini del Palio di Siena che hanno ridotto questa storica apoteosi del localismo italico a un’estenuante melina - ho rilanciato io -. Uno sfinimento di finte partenze e ostruzionismi incomprensibili di uomini e cavalli, ha dato luogo a una gara corsa praticamente al buio in cui la sorte, come sempre, ha deciso senza curarsi delle miserie umane".
Il Palio senese quando l'ho visto per la prima voltà 35 anni fa mi aveva stregato con il suo sanguigno fascino. Oggi lo considero invece un rito triste perché è una metafora della vecchia Italia, Paese dove tutti truffano e ingannano fino all’ultimo, fingendo di credere nei loro inganni, perché in assenza di fiducia nei valori della giovinezza e del futuro, al loro inutile e isterico agitarsi si è ridotta la vita. La finale di Berlino invece dimostra che i limiti dell’uomo non sono ancora toccati. Possiamo migliorare .
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