domenica 5 ottobre 2014

Alla ricerca di Vivian Maier

Venerdì sera al Metropolis, dopo l'inaugurazione della mia mostra fotografica "Italiani in Bianco e nero 1974/1984" e il dibattito sul fotogiornalismo di ieri e di oggi che ne è seguito, hanno potuto ammirare in Sala Pasolini lo straordinario film di John Maloof e Charlie Siskel "Alla ricerca di Vivian Maier" da pochi mesi uscito in Italia, che racconta la storia del ritrovamento fortuito dell'opera monumentale (centinaia di migliaia di fotografie mai viste da nessuno) della più grande fotoreporter sconosciuta di tutti i tempi e della loro scoperta grazie ai social network che ne hanno divulgato le immagini al pubblico di tutto il mondo.
Vivian Dorothea Maier (New York, 1 febbraio 1926 – 21 aprile 2009) dopo un periodo di vita in Francia, tornata negli Stati Uniti, lavorò per circa quaranta anni come bambinaia a Chicago. Durante quegli anni ha scattato oltre 150.000 fotografie, principalmente di persone e architettura urbana, nelle città di New York, Chicago, e Los Angeles. Migliaia di foto scattate per strada con una Rolleiflex, una fotocamera tedesca che usava rullini di formato quadrato, 6x6 cm., da lei scelta forse perché consentiva grazie al mirino (che si usava guardandolo dall'alto) di fotografare senza portare la macchina all'altezza dell'occhio, in modo che il soggetto fotografato non si accorgesse di esserlo.
Le fotografie sono rimaste sconosciute, insieme alla fotografa, fino a quando, dopo la sua morte, le sue scatole di averi sono state acquistate all'asta per 380 dollari da un collezionista trentenne di Chicago, John Maloof. Di fronte alla scoperta delle foto, molte delle quali mai sviluppate, il giovane che non sapeva niente di fotografia, incredulo, ha cominciato a postarle online subito dopo l'acquisto. Il successo di pubblico ha innescato una serie di mostre inizialmente negli Stati Uniti e poi in tutto il pianeta.
Ma mentre postava su internet le fotografie scoperte, Maloof, cercava anche di scoprire chi era e che vita aveva fatto questa sconosciuta artista di cui il motore di ricerca di google dava risposte zero. Rovistando tra l'enorme massa di materiali contenuta nelle scatole appartenute a Vivian trovò migliaia di ricevute postali, biglietti e qualche rara lettera grazie alle quali riuscì a ricostruire il parte la sua vita e rintracciare molti dei bambini che aveva allevato e delle loro famiglie dalle quali ricavò preziose testimonianze sulla sua vita.

"Parlando con chi l’aveva conosciuta abbiamo capito che Vivian era una donna avventurosa, uno spirito libero – dice nel film Maloof -. Nel suo lavoro di tata portava i bambini nelle zone povere dalla città, a vedere i recinti di bestiame da dove arrivava il cibo che mangiavano. Mostrava loro cose crude perché erano dei privilegiati. Ma ci sono stati raccontati episodi che rivelano un carattere problematico al limite del disagio mentale: pare che Vivian picchiasse i bimbi e fosse terrorizzata dagli uomini. Insomma per molti il suo carattere nascondeva molte ombre che lei alimentava comportandosi in modo misterioso, cambiando identità e nascondendo il suo lavoro di fotografa in decine di valigie e bauli che portava sempre con sè da una casa all'altra. Ma non era una pazza, credo avesse coscienza di essere una grande artista, che a causa dei suoi problemi personali non è riuscita a esprimersi mostrando al mondo il suo lavoro".

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