5) La mattina dopo io, Federico e Giorgio
ci mettemmo disciplinatamente in fila per visitare il mausoleo di
Lenin, monumento funerario famoso in tutto il mondo, situato sulla
Piazza Rossa di Mosca, che accoglie le spoglie mortali di Vladimir Il'ič
Ul'janov.
Dopo la sua morte, avvenuta il 21
gennaio 1924, la salma del padre della Rivoluzione russa fu
imbalsamata per poter restare esposta al pubblico in permanenza. Il
procedimento fu attuato dal patologo Aleksej Abrikosov,
mentre una prima struttura lignea, destinata ad accogliere i
resti del leader sovietico, era stata commissionata
all'architetto Aleksej Ščusev. Nel 1929, apparendo possibile
una lunga conservazione della salma, si decise di erigere una
struttura permanente marmoreo-granitica. Il mausoleo è una piramide a base
quadrata in stile costruttivista di marmo, granito nero e rosso
ruggine, ispirato dall'opera del pittore russo Kasimir Malevich, pioniere
dell'astrattismo geometrico. Un quadrato rosso nel quadrato della
Piazza Rossa. Milioni di persone lo visitano da oltre 80 anni e le visite
si protraggono fino ai nostri giorni.
Il lato della Piazza Rossa, prima di arrivare al
mausoleo, lungo il muro del Cremlino ospita le sepolture dei massimi
leader sovietici (meno Kruscev) e degli eroi della Grande Guerra
Patriottica, tombe e monumenti ai quali andavano a rendere omaggio
decine di coppie di sposi che arrivavano a Mosca da tutta la Russia.
Le spose in abito bianco accompagnate da parenti e amici andavano a
deporre il loro bouquet di fiori sulle tombe e si facevano
fotografare tutte orgogliose a fianco dei loro mariti. Insomma se
oggi la tomba di Lenin è divenuta una meta meramente turistica, nel 1989, alla vigilia della fine del comunismo russo, la visita al
mausoleo era considerata e vissuta dal popolo come un omaggio al capo della
Rivoluzione sovietica e ai suoi grandi uomini.
Noi tre guardavamo incuriositi questo
fenomeno e chiacchieravamo commentando quello che accadeva nella
piazza. Evidentemente facevamo troppo chiasso, noi italiani parliamo
ad alta voce e gesticoliamo senza rendercene conto perché fa parte
del nostro carattere nazionale, così a un certo punto si avvicinò
a noi tre indisciplinati un miliziano che manteneva l'ordine della
fila. Fece un gesto inquivocabile e ci zittimmo di colpo, poi mi fece
segno di ricompormi il colletto allentato dellacamicia e stringere il
nodo della cravatta. Infine mi allacciò il primo bottone della
giacca che avevo slacciato per comodità guardandomi negli occhi
severamente. Era un ragazzo di 20 anni, biondo e con ridenti occhi
azzurri, ma era molto serio e io ne apprezzai lo zelo: la visita alla
tomba di Lenin non era una scampagnata e non ammetteva scherzi.
Da allora più volte in Russia si è
parlato di rimuovere il mausoleo e di seppellire la mummia del
"Piccolo Padre", ma non se n'è mai fatto niente. Comunismo
o no, Lenin resta al suo posto, anzi nel 2013, il nuovo zar,
Vladimir Putin, ha speso un bel po' di rubli per restaurare il
monumento che essendo stato costruito sul terreno dove una volta
c'era il fossato del Cremlino rischiava seriamente di scivolare in
basso e crollare. Insomma, il culto della personalità del grande
rivoluzionario continua in modo non ufficiale, ma proprio per questo
intoccabile.
Nel pomeriggio avevamo deciso di andare
a fare un po' di shopping per comprare qualche regalo da portare a
casa, Federico voleva a tutti costi comprare un bel po' di caviale,
e il mio collega Rossi si offrì di accompagnarci nel negozio dove
andavano gli stranieri a fare acquisti pagando in dollari, dove cioè
si trovavano articoli di artigianato russo di qualità pagando
naturalmente in dollari.
Il negozio era grande e ci trovammo
tutto quello che non si trovava nei negozi normali, gioielli,
sciarpe, scatole di lacca nello stile di Palekh (città famosa per
la produzione di icone) finemente dipinte, filigrane d'argento con
icone. Mia moglie le adorava e le comprai una scatola che sul
coperchio mostrava una troika di cavalli rossi lanciata nella neve
della steppa al gran galoppo.
Il giorno successivo dovevamo partire
verso le 15.00 dall'albergo e per non sprecare la mattina decidemmo
di andare a visitare l'università Statale di Mosca Lomonosov, un
incredibile grattacielo in puro stile sovietico imperiale che sorge
sulla "Collina dei passeri", uno dei sette colli di Mosca
che domina la città e dalla quale si gode uno splendido panorama.
L'edificio fa parte delle "sette
sorelle" così sono chiamati i sette grattacieli progettati
durante lo stalinismo ed è unanimemente considerato il più bello.
L'Università statale Lomonosov
di Mosca fondata nel 1755, è la più grande e la più
antica università della Russia. Nel 2004 (fonte
wikipedia) vi erano iscritti circa 38.000 studenti, a fronte di un
corpo docente di circa 4.000 persone. L'edificio principale fu
costruito tra il 1782 e il 1793, e interamente
ristrutturato dopo l'incendio di Mosca del1812.
Dopo la rivoluzione d'ottobre,
l'università venne aperta anche ai figli dei proletari e dei
contadini. Nel 1919 fu istituita un'apposita struttura per
la formazione dei proletari, allo scopo di permettere loro di passare
gli esami di ammissione.
Durante la seconda guerra
mondiale, gruppi di studenti e professori si arruolarono volontari
nell'esercito, ed una divisione formata da studenti dell'università
combatté eroicamente per la difesa di Mosca. Poiché il rischio di
una presa della capitale da parte dei tedeschi era
notevole, professori, studenti ed impiegati dell'università furono
evacuati prima a Aşgabat, in Turkmenistan, poi
a Sverdlovsk. L'università tornò a Mosca solo nel 1943,
quando le truppe tedesche furono allontanate a sufficienza dalla
città.
Quando nel 1953 Stalin decise la
costruzione delle sette torri, la più alta (240 metri, 36 piani) fu
destinata all'Università. Fuori dall'area di New York, la sua torrre
restò fino al 1988 la più alta d'Europa. L'edificio ha 5mila stanze
e 33 chilometri di corridoi. Guardarlo da sotto in su era per me come
guardare l'Empire State Building dal marciapiede opposto della
Quinta strada. La stella rossa che domina la sua altissima guglia di notte si
illumina come quelle della altre sette sorelle e caratterizza lo
skyline di Mosca.
Gironzolammo per il Campus
dell'università che ospita diversi impianti sportivi e anche l'unico
campo da baseball del Paese. La mattina passò molto velocemente e
alle 13.00 decidemmo di tornare in albergo dove ci aspettavano i
bagagli e la Chaika per l'aeroporto. Scoprimmo però che non
sapevamo come fare. Il parcheggio dei taxi era vuoto, fuori dal
Campus sulla via principale dove passavano auto e bus non trovammo
nessuno a cui chiedere indicazioni e non avavamo idea, perché
nessuno di noi si era informato, di quali mezzi pubblici potevamo
servirci per tornare in centro. Dopo avere fatto diversi tentativi a
vuoto con passanti che parlavano solo russo e aver tentato
inutilmente di fermare dei taxi al volo cominciammo a preoccuparci.
Il tempo stringeva e si erano già fatte quasi le 14.00, Federico che
era il nostro accompagnatore era disperato, non sapeva cosa fare,
Giorgio si era seduto sul marciapiedi e ripeteva "perderemo
l'aereo, perderemo l'aereo". Io decisi di fare un ultimo
tentativo. Avevo visto sul marciapiede di fronte una coppia di
miliziani e rivolgendomi a loro nel mio incerto inglese cercai di
spiegare che dovevamo prendere un volo e dovevamo essere entro
un'ora all'Hotel Intourist.
Alla fine i miei sforzi furono
coronati dal successo, il miliziano più giovane capì e il problema
venne risolto d'incanto. Vide arrivare un taxi fuori servizio e lo
bloccò piantandosi davanti e costringendolo a una frenata brusca. Si
avvicinò al finestrino e cominciò a discutere col tassista
che sembrava non avere nessuna intenzione di caricarci. Io gli feci
vedere dietro la schiena del nostro salvatore un paio di dollari e
alla fine ci caricò a bordo. Ringraziammo il milite al quale
offrimmo due pacchetti di Marlboro e finalmente scendemmo la Collina
dei passeri diretti all'Intourist.
All'aeroporto l'ultima corvè fu dividere nel nostro bagaglio la decina di vasetti di caviale che Federico e Meletti avevano comprato per evitare problemi di dogana, ma anche lì con il passaggio veloce di mano degli ultimi pacchetti di "papirose" americane, passammo indenni l'ultima barriera. Dopo un piccolo assaggio di socialismo reale tornavamo nel grembo dorato del capitalismo. Avevamo visto un impero al tramonto, ma di quello che sarebbe accaduto dopo non c'erano segni.
All'aeroporto l'ultima corvè fu dividere nel nostro bagaglio la decina di vasetti di caviale che Federico e Meletti avevano comprato per evitare problemi di dogana, ma anche lì con il passaggio veloce di mano degli ultimi pacchetti di "papirose" americane, passammo indenni l'ultima barriera. Dopo un piccolo assaggio di socialismo reale tornavamo nel grembo dorato del capitalismo. Avevamo visto un impero al tramonto, ma di quello che sarebbe accaduto dopo non c'erano segni.
(Fine)
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