domenica 6 luglio 2014

Lenin, nonostante tutto, resta un mito

5) La mattina dopo io, Federico e Giorgio ci mettemmo disciplinatamente in fila per visitare il mausoleo di Lenin, monumento funerario famoso in tutto il mondo, situato sulla Piazza Rossa di Mosca, che accoglie le spoglie mortali di Vladimir Il'ič Ul'janov.
Dopo la sua morte, avvenuta il 21 gennaio 1924, la salma del padre della Rivoluzione russa fu imbalsamata per poter restare esposta al pubblico in permanenza. Il procedimento fu attuato dal patologo Aleksej Abrikosov, mentre una prima struttura lignea, destinata ad accogliere i resti del leader sovietico, era stata commissionata all'architetto Aleksej Ščusev. Nel 1929, apparendo possibile una lunga conservazione della salma, si decise di erigere una struttura permanente marmoreo-granitica. Il mausoleo è una piramide a base quadrata in stile costruttivista di marmo, granito nero e rosso ruggine, ispirato dall'opera del pittore russo Kasimir Malevich, pioniere dell'astrattismo geometrico. Un quadrato rosso nel quadrato della Piazza Rossa. Milioni di persone lo visitano da oltre 80 anni e le visite si protraggono fino ai nostri giorni.
Il lato della Piazza Rossa, prima di arrivare al mausoleo, lungo il muro del Cremlino ospita le sepolture dei massimi leader sovietici (meno Kruscev) e degli eroi della Grande Guerra Patriottica, tombe e monumenti ai quali andavano a rendere omaggio decine di coppie di sposi che arrivavano a Mosca da tutta la Russia. Le spose in abito bianco accompagnate da parenti e amici andavano a deporre il loro bouquet di fiori sulle tombe e si facevano fotografare tutte orgogliose a fianco dei loro mariti. Insomma se oggi la tomba di Lenin è divenuta una meta meramente turistica, nel 1989, alla vigilia della fine del comunismo russo, la visita al mausoleo era considerata e vissuta dal popolo come un omaggio al capo della Rivoluzione sovietica e ai suoi grandi uomini.
Noi tre guardavamo incuriositi questo fenomeno e chiacchieravamo commentando quello che accadeva nella piazza. Evidentemente facevamo troppo chiasso, noi italiani parliamo ad alta voce e gesticoliamo senza rendercene conto perché fa parte del nostro carattere nazionale, così a un certo punto si avvicinò a noi tre indisciplinati un miliziano che manteneva l'ordine della fila. Fece un gesto inquivocabile e ci zittimmo di colpo, poi mi fece segno di ricompormi il colletto allentato dellacamicia e stringere il nodo della cravatta. Infine mi allacciò il primo bottone della giacca che avevo slacciato per comodità guardandomi negli occhi severamente. Era un ragazzo di 20 anni, biondo e con ridenti occhi azzurri, ma era molto serio e io ne apprezzai lo zelo: la visita alla tomba di Lenin non era una scampagnata e non ammetteva scherzi.
In silenzio passò così quasi mezz'ora durante la quale metro dopo metro ci avvicinammo all'ingresso del mausoleo che dava su un atrio molto freddo rispetto alla temperatura esterna e da lì sempre in fila si passava nella sala di marmo dove si trovava il sarcofago e la salma esposta (ogni tre anni gli cambiano la giacca e la camicia). La sala aveva le pareti di pietra grigia sulle quali tutto intorno spiccavano decine di rettangoli rossi a simboleggiare le bandiere della rivoluzione. La salma vista da vicino sembrava di cera. All'uscita avevamo un gran bisogno di calore e ci mettemmo al sole a scaldarci come i barboni di "Miracolo a Milano".
Da allora più volte in Russia si è parlato di rimuovere il mausoleo e di seppellire la mummia del "Piccolo Padre", ma non se n'è mai fatto niente. Comunismo o no, Lenin resta al suo posto, anzi nel 2013, il nuovo zar, Vladimir Putin, ha speso un bel po' di rubli per restaurare il monumento che essendo stato costruito sul terreno dove una volta c'era il fossato del Cremlino rischiava seriamente di scivolare in basso e crollare. Insomma, il culto della personalità del grande rivoluzionario continua in modo non ufficiale, ma proprio per questo intoccabile.
Nel pomeriggio avevamo deciso di andare a fare un po' di shopping per comprare qualche regalo da portare a casa, Federico voleva a tutti costi comprare un bel po' di caviale, e il mio collega Rossi si offrì di accompagnarci nel negozio dove andavano gli stranieri a fare acquisti pagando in dollari, dove cioè si trovavano articoli di artigianato russo di qualità pagando naturalmente in dollari.
Il negozio era grande e ci trovammo tutto quello che non si trovava nei negozi normali, gioielli, sciarpe, scatole di lacca nello stile di Palekh (città famosa per la produzione di icone) finemente dipinte, filigrane d'argento con icone. Mia moglie le adorava e le comprai una scatola che sul coperchio mostrava una troika di cavalli rossi lanciata nella neve della steppa al gran galoppo.
Il giorno successivo dovevamo partire verso le 15.00 dall'albergo e per non sprecare la mattina decidemmo di andare a visitare l'università Statale di Mosca Lomonosov, un incredibile grattacielo in puro stile sovietico imperiale che sorge sulla "Collina dei passeri", uno dei sette colli di Mosca che domina la città e dalla quale si gode uno splendido panorama.
L'edificio fa parte delle "sette sorelle" così sono chiamati i sette grattacieli progettati durante lo stalinismo ed è unanimemente considerato il più bello.
L'Università statale Lomonosov di Mosca fondata nel 1755, è la più grande e la più antica università della Russia. Nel 2004 (fonte wikipedia) vi erano iscritti circa 38.000 studenti, a fronte di un corpo docente di circa 4.000 persone. L'edificio principale fu costruito tra il 1782 e il 1793, e interamente ristrutturato dopo l'incendio di Mosca del1812.
Dopo la rivoluzione d'ottobre, l'università venne aperta anche ai figli dei proletari e dei contadini. Nel 1919 fu istituita un'apposita struttura per la formazione dei proletari, allo scopo di permettere loro di passare gli esami di ammissione.
Durante la seconda guerra mondiale, gruppi di studenti e professori si arruolarono volontari nell'esercito, ed una divisione formata da studenti dell'università combatté eroicamente per la difesa di Mosca. Poiché il rischio di una presa della capitale da parte dei tedeschi era notevole, professori, studenti ed impiegati dell'università furono evacuati prima a Aşgabat, in Turkmenistan, poi a Sverdlovsk. L'università tornò a Mosca solo nel 1943, quando le truppe tedesche furono allontanate a sufficienza dalla città.
Quando nel 1953 Stalin decise la costruzione delle sette torri, la più alta (240 metri, 36 piani) fu destinata all'Università. Fuori dall'area di New York, la sua torrre restò fino al 1988 la più alta d'Europa. L'edificio ha 5mila stanze e 33 chilometri di corridoi. Guardarlo da sotto in su era per me come guardare l'Empire State Building dal marciapiede opposto della Quinta strada. La stella rossa che domina la sua altissima guglia di notte si illumina come quelle della altre sette sorelle e caratterizza lo skyline di Mosca.
Gironzolammo per il Campus dell'università che ospita diversi impianti sportivi e anche l'unico campo da baseball del Paese. La mattina passò molto velocemente e alle 13.00 decidemmo di tornare in albergo dove ci aspettavano i bagagli e la Chaika per l'aeroporto. Scoprimmo però che non sapevamo come fare. Il parcheggio dei taxi era vuoto, fuori dal Campus sulla via principale dove passavano auto e bus non trovammo nessuno a cui chiedere indicazioni e non avavamo idea, perché nessuno di noi si era informato, di quali mezzi pubblici potevamo servirci per tornare in centro. Dopo avere fatto diversi tentativi a vuoto con passanti che parlavano solo russo e aver tentato inutilmente di fermare dei taxi al volo cominciammo a preoccuparci. Il tempo stringeva e si erano già fatte quasi le 14.00, Federico che era il nostro accompagnatore era disperato, non sapeva cosa fare, Giorgio si era seduto sul marciapiedi e ripeteva "perderemo l'aereo, perderemo l'aereo". Io decisi di fare un ultimo tentativo. Avevo visto sul marciapiede di fronte una coppia di miliziani e rivolgendomi a loro nel mio incerto inglese cercai di spiegare che dovevamo prendere un volo e dovevamo essere entro un'ora all'Hotel Intourist.
Alla fine i miei sforzi furono coronati dal successo, il miliziano più giovane capì e il problema venne risolto d'incanto. Vide arrivare un taxi fuori servizio e lo bloccò piantandosi davanti e costringendolo a una frenata brusca. Si avvicinò al finestrino e cominciò a discutere col tassista che sembrava non avere nessuna intenzione di caricarci. Io gli feci vedere dietro la schiena del nostro salvatore un paio di dollari e alla fine ci caricò a bordo. Ringraziammo il milite al quale offrimmo due pacchetti di Marlboro e finalmente scendemmo la Collina dei passeri diretti all'Intourist.
All'aeroporto l'ultima corvè fu dividere nel nostro bagaglio la decina di vasetti di caviale che Federico e Meletti avevano comprato per evitare problemi di dogana, ma anche lì con il passaggio veloce di mano degli ultimi pacchetti di "papirose" americane, passammo indenni l'ultima barriera. Dopo un piccolo assaggio di socialismo reale tornavamo nel grembo dorato del capitalismo. Avevamo visto un impero  al tramonto,  ma di quello che sarebbe accaduto dopo non c'erano segni. 
(Fine)

Nessun commento: